COLLI

Colli di Monte Bove (AQ.), il Secolo Scorso

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Le Gabelle imposte dai Colonna nel XVI secolo

Le gabelle di Oricola
Per avere un'idea dei proventi che i Colonna traevano dai loro possedimenti della Marsica Occidentale nel primo quarto del XVI° secolo, pubblichiamo le gabelle imposte ad Auricola (l'odierna Oricola) che, per analogia, possono ritenersi a grandi linee, valide anche per Colli (il nostro paese non era posseduto da Ascanio Colonna ma dal suo fratello naturale Sciarra Colonna).
Il lasso di tempo considerato va dal 1 Giugno 1519 al 12 Maggio 1520. Questa è la trascrizione integrale del documento:
La piazza, in moneta papale 37 D(ucati) equivalenti nel Regno di Napoli a 29 (Ducati), 3 (Carlini), 0 (Cavallo).
La Guardania annuatim  2. 3. 6.
La Calchara in q.sto anno 1519   53. 3. 0.
Lo bosco de sesaro de la retro scritta terra d'Auricula (...) 7. 1. 8. Si richiama l'attenzione del lettore sulle due diverse grafie del toponimo Auricola tra l'intestazione della pagina e la narrazione.
Le quattro giornate sotto tenute li Homini d'Auricula costruendone a la Corte pagai annuatim 0. 1. 2.
Pollastri in lo mese d'Ago 26 (sono il numero degli avicoli) 0. 4. 10.
Galline in lo Carnevale 18 (come sopra) 0. 4. 10. Le galline avevano un costo maggiore di circa un terzo rispetto ai polli.
Per omne porco s'ammazzasse, una spalla frontale.
La terza parte delli polletti masculi quando accade.
I Concedimenti e le Scadenze erano ad appannaggio di Alpjato (?) Hier.o percettore (il signore locale che riscuoteva questi oneri).
Quelli andassero a tagliare a la selva pagano per omne accetta mezzo carlino lo mese.
La calcara che se facesse in lo Monte de Arnone pussandone (?) 13 piedi de larghezza ogni volta paga dieci pyo (?) di calce a la Corte.
Alla luce di questo interessante documento si comprende meglio, circa cento anni dopo, il contesto storico nel quale maturò l'idea della realizzazione dell'affresco della Croce, nella chiesa di San Berardo per implorare, al protettore di Colli, il prodigio di lenire il peso di quelle tasse.

Sciarra Colonna signore di Colli (1520)

Archivio Colonna Santa Scolastica - Subiaco
Nel 1520, allorché Ascanio Colonna succedeva al proprio padre Fabrizio Colonna, il “Procurator procuratorio Cosimus de Maio” redigeva un quadro di bordo dell’economia del Ducato di Tagliacozzo e della Contea di Alba, estremamente moderno e dettagliato, nel quale sono elencate tutte le spese e i proventi afferenti alle due entità territoriali.
Galleria Sciarra a Roma
Il nostro paese è compreso nel Ducato di Tagliacozzo ma viene precisato “Colli tene Sciarra Colonna” che era un fratello naturale di Ascanio. Quali sono le ragioni di questa peculiarità? E’ la testimonianza dell’eccezionale importanza strategica del castello di Colli e delle sue pertinenze? Oppure il riverbero nel tempo dell’archetipo ereditario dei Conti dei Marsi che estendeva l’asse successorio a tutti i componenti della famiglia comitale, senza distinzione di sesso o di maggiorascato? Ovviamente non siamo in grado di infirmare o di avvalorare queste ipotesi di studio e consegniamo il prezioso documento al dibattito storiografico futuro su Colli.
Ringrazio l’Archivio Colonna di Santa Scolastica di Subiaco, la famiglia romana per aver dato l'assenso alla pubblicazione di questa fonte e Paolo Emilio Capaldi per la precisazione sul grado di parentela tra i due esponenti di casa Colonna.

Il feudo di Ioannis de Colibus (1252)

Carsoli - S. Maria in Cellis (1940)










Paolo Emilio Capaldi
RICERCATORE E STORICO

Investigando tra le fonti e le testimonianze per redigere uno studio sui “Monti Carseolani”, ritrovai un contributo molto interessante circa le bolle emanate da, e a favore della chiesa di Santa Maria de Cellis (Carsoli) che, già nel XIII secolo, attestano la presenza di un possidente dell’odierna cittadina di Colli di Monte Bove, tal “Giovanni di Colli”, intestatario di un feudo.
La nascita di questo nuovo monastero si contrappose alla sede di un altro cenobio circonvicino, S. Angelo in Cellis, riscontrabile nell’attuale fondazione del castello di Sant’Angelo in Cellis, sorto sul poggio primitivo dell’odierna Carsoli.
Nell’anno 1000, il conte Rainaldo dei Marsi, figlio del fu Berardo III, donò il castello di Sant’Angelo al monastero di Santa Maria in Cellis, già di proprietà dell’abbazia di Montecassino. e nell’anno 1060, il conte Siginolfo, figlio di Berardo IV, creato vescovo dei Marsi dall’antipapa Clemente III, predecessore di Berardo a Santa Sabina, appartenente alla dinastia dei Conti dei Marsi e padre di Giovanni da Petrella che liberò Berardo dalla prigionia di S. Pietro Romano (Palestrina), abitò il castello di Celle, trasformandolo nella propria dimora.
Nel tempo, il monastero di S. Maria de Cellis si unirà a Montecassino, nel 1060, nel primo anno di elezione dell’abbate Desiderio, membro della famiglia comitale dei Marsi.
 .ti le pergamene riguardanti S. Maria in Cellis, in tutto ventinove, distribuite in quattro fascicoli e, un quinto, contenente documenti cartacei.
Ora, nel fascicolo III, al n. 14, si trova la copia di una pergamena emendata in data 4 febbraio 1252, nel testo dell’Iguanez apposta col numero cinque delle ventinove relazionate. Il testo ivi riassunto recita:

« Copia di un istrumento in cui D.[om.] Enrico, preposito, e fr. Rainardo di Montenero, fr. Giovanni di Auricula, fr. Geraldo, fr. Biagio delle Celle, fr. Nicola di Poggio, fr. Bartolomeo di Alto S. Maria e fr. Tommaso di Pireto concedono in enfiteusi a Matteo “de Petrilonis”, fino alla terza generazione, un feudo sotto il nome di “Iohannis de Colibus” consistente in diverse case e terre “in Castro Cellarum et pertinentiis suis” ».

Dal sommario si evince che i monaci di S. Maria de Cellis dettero in enfiteusi a Matteo de Petrilonis un feudo che, prima di questa data, aveva il nome di Giovanni di Colli, esteso fin nei pressi del castello di Celle (Carsoli – AQ)

 Lo studio completo scaricabile da questo collegamento ipertestuale

A Poitiers si celebra l'arte di governo di Berardo

Gli atti del colloquio di Poitiers 
La nuova Arte di Governo della chiesa di Berardo è stata al centro di un colloquio a Poitiers (Francia) nel mese di settembre 2008 con una comunicazione dello storico francese Jacques Dalarun, specialista della santità medievale.
In questo brillante saggio, l'eminente medievista anima il dossier di Berardo rintracciando attraverso varie fonti ma, seguendo principalmente la lezione dell'agiografia di Giovanni di Segni, il suo Cursus per poi soffermarsi sugli studi intrapresi presso il Capitolo di Santa Sabina ed al monastero benedettino di Montecassino. Segue un'attenta analisi delle strategie di potere polimorfe promosse dalla famiglia comitale dei Marsi, in un'epoca in cui era in atto uno scontro titanico tra il Papa e l'Imperatore per la supremazia temporale.
Il saggio di Dalarun in Italiano
Il capitolo più interessante è tuttavia dedicato al Berardo "ardente riformatore gregoriano": è mirabilmente delineata l'energica azione del vescovo dei Marsi per restaurare la disciplina della comunità dei canonici di Santa Sabina ma, è anche esaltata la straordinaria novità che rappresentò la nuova arte di governo di Berardo verso i propri fedeli e segnatamente con l'attenzione per i più deboli e i più bisognosi. Per far questo Berardo diede di nuovo senso a vecchie parole che avevano perso significato, proteggendo "tutti ed ognuno."
Assolutamente innovativa è l'indagine sulla caotica gestione della pratica di canonizzazione del defunto vescovo; sui tentativi di far fallire la Riforma e di svilire la produzione dei prodigi. Jacques Dalarun ci restituisce le aporie della Storia ridestandoci da quella soporifera illegibilità in cui ci avevano immerso le varie Vite lenificanti prodotte dalla storiografia locale su Berardo sin dal XVII secolo, ad opera soprattutto di chierici.
L'essenza di questa comunicazione, ampliata e ulteriormente approfondita, fu la traccia che il professore Jacques Dalarun seguì nella lectio magistralis che tenne a Carsoli il 30 Aprile 2010 su Berardo.
Il testo è stato, altresì, valorizzato nel volume Bérard des Marses (1080-1130): un éveque exemplaire, pubblicato nel 2013 dall'Università Sorbona di Parigi e nello studio dedicato alla ricostruzione filologica della leggenda, curato sempre dallo storico francese, per la Société des Bollandistes di Bruxelles.

Due fonti su Berardo all'Archivio Vescovile

La prima edizione stampata della Vita
La traduzione italiana dello Studio




















L'edizione francese dello Studio
Al termine della chiusura estiva dell'Archivio Vescovile di Avezzano, sarà possibile consultare due nuove fonti sulla Vita di Berardo. Si tratta della prima edizione stampata in latino della Vita redatta da Giovanni di Segni, nell'Italia Sacra di Federico Ughelli, sezione dedicata ai Vescovi Marsicani e curata da Nicola Coleti. Il volume è corredato da una copertina raffigurante il portale di Santa Sabina di Civitas Marsorum, l'odierna San Benedetto dei Marsi.
L'altra fonte  reperibile è il testo francese ed italiano dello studio che Pierre Toubert effettuò sulla Vita di Berardo nel primo Tomo della monumentale opera Les structures du Latium medieval..., e che ha vigorosamente proiettato la figura del vescovo dei Marsi nel vasto dibattito storiografico internazionale. Le due copertine dei volumi raffigurano dei dipinti che si trovano nel nostro paese e la scelta delle referenze iconografiche è stata fatta nell'intento di stimolare la curiosità dei ricercatori futuri a visitare Colli.

La 4.a edizione del Cammino del Volto Santo




La quarta edizione del Cammino del Volto Santo, promossa dal comune di Manoppello in collaborazione con associazioni locali, partirà dalla Città del Vaticano il 9 Maggio alle ore 10:30 in concomitanza con l'udienza papale del mercoledì. Arriverà a Manoppello il 20 Maggio dopo aver attraversato, tra il Lazio e l'Abruzzo, 30 comuni, 4 parchi nazionali e affascinanti percorsi storico-archeologici di particolare bellezza. Martedì 15 Maggio è previsto il passaggio nel nostro paese dei pellegrini.
Chiunque volesse partecipare all'iniziativa può visitare il sito http://www.camminodelvoltosanto.com/prenota dove troverà tutte le informazioni necessarie per prenotare. E' possibile aderire a tutta la marcia o ad una sola tappa.

Brigante sequestra due giovani di Colli (1876)

La prima pagina del rapporto
Di storie di brigantaggio nel nostro paese se ne sono raccontate molte. Quella che più colpì la mia immaginazione, nel corso dell'infanzia, fu la leggenda che narrava dell'esistenza di un inestimabile tesoro di monete d'oro sepolto dai briganti in località "Lopara" che, però, era custodito dal ...diavolo! Avevo sempre interpretato questi racconti come riti apotropaici ma la scoperta di questo documento presso l'Archivio di Stato dell'Aquila mi ha indotto a ricredermi sulla loro fondatezza.
La storia, che non ha un epilogo in quanto devo ancora decriptare alcune parti del dossier, inizia, verosimilmente i primi giorni di Settembre del 1876, in località Pozzo Catino: il toponimo è di difficile interpretazione nel testo a causa di una grafia irregolare ed approssimativa dell'esetnsore, potrebbe anche trattarsi di Pozzo Latino, dove due giovani pastori di Colli, Giuseppe Caroli di Gaetano e Giovanfilippo Anastasi di Mario, - identità confermate verificando due fonti diverse- vengono sorpresi nelle loro capanne da un brigante che minacciandoli con un fucile li prende in ostaggio e li conduce nella montagna. Entra in scena un altro personaggio, non si comprende bene come per la difficoltà ad interpretare la scrittura, Pietro Lauri, latore di un messaggio scritto che, asserisce di averlo avuto da un pastore "a lui ignoto", da consegnare a Gaetano Caroli e nel quale il figlio informa il proprio genitore di "...essere ritenuto dai Briganti e che esigevano per essere lasciato libero 500 Scudi. Soggiungendo che se il denaro non fosse stato trovato all'indomani i Briganti gli avrebbero tagliata un'orecchia [conserviamo la forma storica del documento, con l'evidente errore di ortografia] e il posdomani la testa." Nel messaggio veniva specificato che il denaro doveva essere portato a Camposecco di Camerata, dove riferiva il rapporto dei Carabinieri di Carsoli, "...pare abbiano i Briganti condotti i due giovani." I militi riferivano anche che Gaetano Caraoli era in attesa di ulteriori sviluppi della vicenda.

Conferme sulla Virilassi della Vita di Berardo

L'Anfiteatro di Virilassi
Paolo Emilio Capaldi
Ricercatore e Storico

Nella Vita del Beato Berardo scritta da Giovanni di Segni, ricostruita di recente ed editata in francese e in latino dal prof. Jacques Dalarun, sono presenti più di cinquanta toponimi di località di epoca romana, per lo più collocati nella Marsica e nell’Abruzzo centrale, dove Berardo operò prodigi e dispiegò il suo pastorato, inaugurando una nuova arte di governo della Chiesa, incarnando un modello vescovile tipicamente Gregoriano.
Alcune di queste città romane vennero individuate attraverso un’appassionante avventura culturale che vide coinvolti alcuni cultori di storia locale, collaboratori della rivista di studi e ricerche Aequa; per altre si suggerirono delle ipotesi di lavoro: tra queste vi era Virilassi, prospettando che potesse trattarsi di un insediamento antropico prossimo a Civitas Marsorum, l’odierna San Benedetto dei Marsi, caratterizzato dalla presenza di un anfiteatro. Il reperimento di alcune fonti documentali confortano l’ipotesi formulata e l’enigma della Virilassi romana può, quindi, considerarsi risolto.
Nella propria tesi di laurea Fernique E., De Regione Marsorum. Thesim proponebat Facultati Litterarum Parisiensi, Lutetiae Parisiorum, Apud E. Thorin Bibliopolam et Editorem, mdccclxxx, pp. 74-80, scrive: Fuori delle mura, verso settentrione, vi sono ruderi di un anfiteatro; esso era lungo circa sessantacinque passi (m. 95), largo cinquantuno (m. 75); si può ancora vedere una porta, ma l’arena, a poco a poco, è stata ricoperta di terra né ormai si vedono vestigia di sedili”.
Nel secolo scorso, il direttore dell’Ufficio Tecnico del comune di Avezzano Loreto Orlandi, ispirandosi ampiamente alla Relazione del 15 maggio 1891 all’onorevole Commissione conservatrice di monumenti, di antichità e belle arti, della provincia dell’Aquila, sugli avanzi dell’antica Marruvio ne’ Marsi di Francesco Lolli (in Jetti G., La Marsica in due secoli, tra intellettuali, sovversivi e latifondisti, con una silloge di documenti inediti e rari, Avezzano, Ed. Kirke, 2012, pp. 69-96), pubblicò un prezioso volume (Orlandi L., I Marsi e l’origine di Avezzano, Napoli, Loffredo Editore, 1967, pp. 5-6. Le notizie sono state ricavate nella “nota biografica” di Palanza U. M.) con una descrizione dell’Anfiteatro ancora più accurata: Il solo resto visibile di fabbrica è un quarto del
Ipotesi della forma
architettonica del'Anfiteatro
perimetro ellittico, compreso fra l’estremità sud dell’asse maggiore e l’estremità est del minore, presso cui si nota una cella con parete frontale di m. 1,80 e lati di m. 2,00 con rivestimento a grossolano reticolo.
All’estremità sud dell’asse maggiore emerge dalla fossa una volta a botte a forma di androne con corda di m. 3,50 e freccia di m. 0,90 nella parte emergente sul rinterrato fossato.
Esternamente all’arco di fabbrica ellittico, a partire dall’estremità est dell’asse minore, si veggono a fior di terra cinque pilastri convergenti al centro dell’elissi, equidistanti fra loro di m. 4,00 e ciascuno largo m. 0,70 e lungo m. 2,50, La loro giacitura fa congetturare che appartenevano al porticato esteriore ed agli androni che se ne dipartivano, dando ingresso al vomitorio ed all’arena.
La presenza dei cinque pilastri esterni permette di ricostruire nelle sue proporzioni l’intero anfiteatro.
Aggiunti circa tre metri della lunghezza dei pilastri alle quattro estremità degli assi sopra misurati, si ha l’asse maggiore di m. 98,00 e quello minore di m. 82,00 e dando questi diametri una elisse perfetta, è da ritenere che tale calcolo sia esatto.
Facendo la proporzione tra queste misure e quelle dell’anfiteatro Flavio, che ha l’asse maggiore di m. 187,00 ed il minore di m. 155 e nell’arena rispettivamente di m. 85 e 53, nonché l’altezza totale di m. 49, risulta che gli assi dell’arena dell’anfiteatro di Marruvio sarebbero stati rispettivamente di m. 52 e m. 36, cosicché questo era grande oltre la metà del Colosseo.
È così sempre con tale confronto l’altezza totale dell’edificio deve calcolarsi a circa m. 25,00, che permette tre ordini di arcate sovrapposte e la capienza ragguagliata fra i trenta ed i trentacinquemila spettatori, che se può sembrare eccessiva in una città compresa nel perimetro di tre chilometri, non parrà più tale se si tien conto che agli spettacoli dovevano accorrere abitanti di tutta la Marsica e dei paesi finitimi.
Considerando infine che una ellisse con i diametri di metri 98 e 82 dà luogo a sessanta archi di m. 4,00 di luce impostati su pilastri spessi m. 0,70, dei quali archi quattro in corrispondenza delle testate degli assi rimanendone da questi intersecati giusto nel mezzo, possiamo ricostruirci l’aspetto dell’anfiteatro di Marruvio con tre ordini di arcate e con sessanta archi per ognuno”.

Marruvium o Civitas Marsorum
odierna San Benedetto dei Marsi
Per approfondire la ricerca a questo collegamento ipertestuale potrete trovare il saggio completo di Paolo Emilio Capaldi. Qui,invece, la relazione integrale di Francesco Lolli.






La vera storia del "saccheggio" di Colli

L'ingresso del castello dei Conti dei Marsi di Colli
Le note manoscritte che ci ha lasciato Giuseppe Mantica, si rivelano sempre più importanti per comprendere la storia di Colli. Il 9 Marzo 1821, quando le truppe austro-ungheresi attraversarono il nostro paese per raggiungere Napoli per sedare i moti rivoluzionari,secondo il Coppi Colli fu dato alle fiamme e saccheggiato; per Don Paolo Panegrossi fu solo saccheggiato, ora finalmente abbiamo la fonte, di tradizione orale, di Berardo Anastasi (postino a Colli nel secolo scorso), trascritta dal dr. Mantica, che apprese le notizie contenute nel suo racconto dal nonno Giò Domenico Anastasi.
"Il capo dei Carbonari di Colli era Giò Francesco De Carolis. Fu preso prigioniero dai Borboni e la sua casa fu saccheggiata. La famiglia fuggì a Nespolo. Per riscattarla furono pagati molti ducati, La famiglia rimase in miseria e la famiglia Panegrossi  fece loro trebbiare per lasciaglerli un Barcone di grano (10-15 q.). Ciò fu raccontato a Berarduccio dal nonno che, allora aveva 9 anni circa e che poi sposò la figlia del De Carolis". (Nella realtà ne aveva cinque in quanto Giò Domenico nacque nel 1816).
La composizione della famiglia De Carolis
Come si evince da questa pagina qui a fianco, tratta dello stato delle Anime di Colli, redatto dall'8 Agosto al 31 Dicembre 1821, la famiglia di Giò Francesco De Carolis, risiedeva di nuovo a Colli, ma il decesso della madre e della consorte del capo dei Carbonari di Colli, segnalano, probabilmente, che la terribile esperienza ebbe conseguenze tragiche. Va, inoltre, aggiunto che il 20 Giugno del 1821 Angelarosa mise al mondo un altro erede.
La pubblicistica dell'ottocento ha dato una narrazione donchisciottesca dell'avvenimento di quella giornata, utilizzando espressioni sarcastiche ("furono sparate solo qualche palla di cannone" - Coppi), le note manoscritte del dr. Mantica, precisano con meticolosità: "Nell'anno 1931 furono rinvenute nel torrione della roccaccia (3) e nel cimitero di Colli (21) (+ 1 conficcata in una quercia della Valle della Mola) palle di ferro di cannone del peso di Kg. 21. Un affusto di cannone fu usato, con adattamenti, per carro agricolo fino al 1930 circa."
Nel corso delle ricerche intraprese per scrivere questo post, ho provato una profonda emozione nell'apprendere la correlazione di parentela della mia famiglia con quel capo dei Carbonari che aveva anteposto i propri ideali patriottici al conformismo ambientale, subendone una dura repressione. In quello slancio fatto di principi etici profondi ho rivissuto ardori giovanili anarcoidi/barricadieri.

Albero Genealogico parziale della famiglia Anastasi

Lo scopo della costruzione di questo albero genealogico parziale della famiglia Anastasi è quello di dimostrare il rapporto di parentela con la famiglia di Giò Francesco De Carolis e quindi non ha alcuna pretesa di esaustività. L'arborescenza del grafico è limitata al ramo di discendenza maschile della famiglia. Tra parentesi è segnalata la data di nascita dei singoli componenti, che si è tralasciata per i viventi. Quando possibile, si è fatto ricorso all'onomastica vernacolare.
Il contributo apportato da Giovanni Anastasi per ricostruire questa genealogia, è stato fondamentale.

Singolare Agorà a Colli nel Seicento

La pagina iniziale dell'Antica Scrittura
La copia di un'antica scrittura, conservata sino a metà del secolo scorso nell'Archivio Parrocchiale di Colli, ci rapporta una singolare adunanza di alcuni cittadini del nostro paese, il "12 di Gennaro 1657", per decidere se aderire ad una nuova proposta di cessione di beni per ottenere la celebrazione di una messa a suffragio perenne alla morte di Pietro Paolo di Camillo, il giovedì di ogni settimana, nella chiesa di S, Berardo.
La riunione ha luogo "nella solita stanza della Comunità" alla presenza del Camerlengo (in epoca medievale era il tesoriere del Re) Giò Francesco Simeoni e dei Massari,  verte sull'integrazione di beni da concedere in aggiunta a quelli già trasferiti all'Università di Colli con un precedente contratto (il termine Università non va inteso nell'accezione moderna ma nel significato storico del tempo, come sinonimo di Comune), per ottenere il privilegio religioso. Oltre ai sei ducati di Regno e ducati "tre per 3° per ciascun anno durante sua vita", concessi nel negozio precedente, venivano aggiunti ducati centoventi in "beni stabili" (i beni immobiliari attuali) alla morte dell'attore, Nella nuova convenzione vengono devoluti all'Università di Colli anche alcuni terreni, dall'ubicazione dei quali si può presumere, che il di Camillo non fosse un cittadino di Colli ma di Carsoli o di Roccaccerro: uno di essi confina con "l'ospedale", verosimilmente, si tratta dell'ospedale per i poveri che esisteva a Carsoli nell'area che oggi insiste intorno al ponte in pietra sulla Valeria in direzione di Colli ed a fianco del quale nel Settecento una cittadina del nostro paese farà edificare la chiesa di S. Antonio Abate; un altro è situato "nel Prato alle Prata della Roccha di Cerro con l'alberi." L'atto conclusivo è firmato ed approvato, edittalmente, da tutti i cittadini presenti.
Regolamento del 1857
Pur in presenza di una Confraternita di S. Berardo (attestata dalla visita pastorale del vescovo dei Marsi del 1623 a Colli), i beni furono devoluti ad una entità, il Comune, a priori laica e per una finalità oltremondana. Il documento che pubblichiamo ci fa comprendere le diverse fasi storiche che ha attraversato questa gloriosa istituzione della Confraternita di S. Berardo: nel Seicento completamente asservita al potere temporale; nell'Ottocento subordinata all'autorità religiosa; in epoca contemporanea, formalmente ancora soggetta al potere della Chiesa, ma nella realtà utilizzata per riconvertirsi nel mercato politico e per entrare a far parte del notabilato locale egemonico, rissoso nel suo interno, mosso soltanto dal "familismo amorale" e da strategie di affermazione sociale.

Le due Parrocchie di Colli

Documento che infirma la datazione dell'Archivio vescovile
Pubblichiamo un interessante Stato delle Anime di Colli (censimento della popolazione), che l'Archivio Vescovile di Avezzano fa risalire, genericamente, ai primi anni del Seicento. Questa datazione siamo in grado di smentirla, confrontando il documento con altro conservato nello stesso luogo.
L'immagine qui accanto è l'atto con il quale il giudice della Camera vescovile di Pescina risolve la lite tra la medesima Curia ed un cittadino di Colli, Giuseppe di Oderisio, sulla proprietà contestata di un terreno agricolo.  All'udienza del 30 Aprile del 1698, il convenuto è assente in quanto è impegnato: "...nella Campagna di Roma a guarzone al carreggio del carbone..." ed è rappresentato da sua moglie Laura e dal cognato Tomaso di Leonardo; nello Stato delle Anime che pubblichiamo il nucleo familiare di Giuseppe di Oderisio è formato da lui  e dalle figlie Giovanna e Berardina. Laura non c'è perché, verosimilmente, già deceduta; pertanto il terminus ante quem di quel documento può essere solo coevo o successivo all'anno 1698.
Ricollocata la fonte in un contesto più appropriato, possiamo analizzare il suo straordinario valore storico per il nostro paese. Questo Stato delle Anime, tra i tanti che abbiamo reperito nell'Archivio Vescovile, colmi di cancellature e di integrazioni non datate che ne sviliscono l'interesse storico, suddivide i nuclei familiari nelle due parrocchie allora esistenti: quella di Gio Battista, che probabilmente insisteva nell'area che va dall'attuale Albergo di Sestilio Berardini al rione La Villetta, addossato al castello dei Conti dei Marsi; l'altra di San Nicolao a cui facevano riferimento i nuovi rioni collocati lungo la via Valeria e l'area intorno alla stessa chiesa di S. Nicola. Ogni componente dei nuclei familiari è individuato con il rapporto di parentela con il capofamiglia, a fianco, è riportata l'età.
Una pagina dello Stato delle Anime
Le famiglie di Colli erano così suddivise  (il numero che compare in parentesi è quello dei componenti):
PARROCCHIA DI GIO' BATTISTA: Giovanni Di Nicola (4); Domenico Di Fausto (7); Isidoro Di Fausto (3); Maria del Quondam... (4); Giacinto Di Tomaso (3); Domenico Di Aniceto (8); Filippo Di Carlo (7); Sisto del Quondam Giò Francesco (10); Stefano del Quondam Giò Francesco (5); Marcello Di Domenico (3); Tomaso Di Domenico (5); Tomaso Di Leonardo (4); Angelo Antonio Di Michelangelo (6); Giuseppe Di Odorisio (3); Domenico Di Carlo + Odorisio Di Carlo (8); Giò Battista Zazza + Mattia del Quondam Stefano (8); Felice Antonio Caroli + Angela Di Sisto (5); Ascanio Floris  + Alessio Simeoni (3); Adriano Floris (1); Pasquale Di Carlo (7); Giò Domenico Falgioneo + Berardo Falgioneo (10); Carla Di Gregorio (4); Giustino Di Giò Battista + Francescantonio (6); Giò Pietro Pennazza (2); Angelo Di Dio (7); Antonio Mancinij (5); Madalena Di Berardo (2); Carlo Latini (3); Verginia Feliciani (1); Giuseppe Berardini (7); Luisa Di Canale (5); Felice Antonio Simeoni (6); Domenico Antonio Simeoni (3); Giò Carlo Simeoni (5); Geronimo Simeoni (2); Calisto D'Anastasio (5); Giovanna Di Ascentio (9); Berardo Simeoni (2).
PARROCCHIA S. NICOLAO: Giò Maria Berardini  (4); Giò...Quondam Giò Francesco (2); Domenico Angelo Di Carlo (5); Carlo Antonio Caroli (9); Berardino Pignata (7); Giò Berardini (8); Prospero Prosperi (5); Angelo Di Nicola (6); Giò D'Aurelio (7); Cesare Di Gregorio (7); Antonio Lauri (3); Giò Carlo Simeoni (6); Antonio Latini (4); Antonio D'Aurelio (7); Cresiata Di Dio (7); Giò Simeoni + Antonio D'Ercole (7); Sante Di Domenico (5); Vittoria del Quondam Giò (3); Angelo Di Barnabeo (6); Giuseppe Ferri (10); Matteo Lauri (10); Andrea Lauri (5); Domenico Di Giò Angelo della Scarpa -l'odierna Licenza- oste dell'Osteria S.l.C. (8); Barnaba Lauri (5); Berardino Lauri (3); Silvestro D'Oratio (4); Giò Di Fabritio (3); Antonio Di Dario (2); Pietro Lauri (4); Bartolomeo Lauri (5); Giorgio Caroli (7); Domenico Di Antonio (4); Lorenzo D'Angelo (5); Nicola del Quondam Francesco (2); Antonio Di Marcello (5); Francesco D'Aurelio (6); Celestino Di Domenico (4); Alessio D'Amicis (4); Ignazio Di Dario (6); Francesco Caciotti di Oricola, Oste dell'Osteria di Colli (2); Filippo Parente  (3); Berardino Parente (4); Giuseppe Parente (7); Francesco Parente (8); Massimiliano Di Domenico (2); Fabritio Di Pietro (6); Sante D'Aurelio (8); Domenico Di Giuseppe (7); Giocomo Antonio di Antonio (3); Antonio Buldrini (6) Giò Battista .... (6); Matteo D'Aloisio (6); Filippo ... (7).
Gli abitanti complessivi erano 470 (188+282); 321 avevano meno di quaranta anni. Alcuni nuclei erano individuati solo con il nome del capostipite (Quondam) o erano formate da più famiglie che coabitavano; per le ultime due non siamo riusciti a decifrare la grafia del loro patronimico. L'onomastica di questo Stato delle Anime si ritrova diffusamente, nell'elenco dei parroci che avevano officiato a Colli (Floris, Pignata, Simeoni, già Simeonibus, Prosperi, Lauri). La famiglia Di Carlo, oggi estinta, commitente dell'affresco di S. Ambrogio nella chiesa di S, Berardo, era quella che contava il maggior numero di componenti. Non era ancora radicata nel nostro territorio la famiglia Panegrossi. Trova conferma l'ipotesi, presente nelle Note manoscritte che ci ha lasciato Giuseppe Mantica, che tra le prime famiglie ad abbandonare il rione Castello, per popolare l'asse lungo la Valeria, furono quelle dei Parente (tutte classificate entro i confini della Parrocchia di S. Nicolao) e quelle dei Simeoni (in maggioranza ancora residenti entro la giurisdizione della Parrocchia di Giò Battista, ma, una parte consistente di essa, già inglobata in quella di S. Nicolao). I conduttori delle due osterie censite, non erano autoctoni.

Mortalità infantile piaga endemica di Colli

I dati demografici di Colli 1753-1762
Il confronto, delle note manoscritte sul nostro paese che ci ha lasciato il dr. Giuseppe Mantica e i documenti che abbiamo reperito nell'Archivio vescovile di Avezzano, ci offre la possibilità di effettuare un affascinante viaggio tra le nebbie sibilline della storia passata di Colli e di scoprire  la stratigrafia sociale della nostra comunità nei tempi antichi.
E' noto che l'illustre umanista del secolo scorso ha esaminato accuratamente i documenti presenti nell'Archivio della chiesa parrocchiale di S. Nicola ed ora non più reperibili per l'incuria con la quale sono stati conservati nel tempo. Per gli anni che vanno dal 1753 al 1762 il dr. Mantica ha accuratamente annotato l'età dei decessi e quindi possiamo scoprire che in quel decennio la vita media a Colli era di 32,4 anni. Disaggregando i dati delle sequenze statistiche si può rilevare che coloro che erano riusciti a superare i primi anni di vita, avevano una longevità invidiabile per gli
Ragazzi di Colli (Foto:A. Barnabei)
standards del tempo: non sono infrequenti decessi avvenuti oltre gli ottanta anni di vita, come significativo è il numero delle persone decedute dopo i settanta anni di età. Agghiaccianti, invece, sono i dati della mortalità infantile: in quei dieci anni, otto bambini sono  morti prima di dieci giorni di vita; diciassette entro i quindici mesi; ventiquattro prima del compimento del decimo anno di età. Le cause erano ovvie: povertà, malnutrizione, esposizione al freddo, insalubrità delle abitazioni fatiscenti.
Censimento del 1814
Un altro documento interessante, proveniente dall'Archivio Vescovile di Avezzano, redatto da Antonio Panegrosso il 4 marzo del 1814, è il censimento del nostro paese, effettuato applicando tecniche non certamente di uso frequenti nel tempo. Abbiamo quindi una ripartizione della popolazione per età e per stato civile: L'85% della popolazione aveva un'età inferiore  ai 40 anni ed il numero dei celibi era superiore ai coniugati ed ai vedovi/e. Si precisava che tutta la popolazione era originaria della provincia ed è molto probabile che l'età delle donne coniugate fosse, generalmente, superiore a quella degli uomini. Questa intima convinzione è maturata dallo studio che ho avviato su tutti gli Stati delle Anime che i vari vescovi hanno lasciato dopo le loro visite pastorali a Colli e dove il fenomeno si osserva con una frequenza significativa e non irrilevante.

La tomba di Maria Panegrossi a Celano

La lapide di Maria Panegrossi a Celano

Giovanni Anastasi
CULTORE DI STORIA LOCALE

La ricostruzione dell’albero genealogico della famiglia Panegrossi di Colli di Monte Bove presente in questo Blog (collegamento) è stata resa possibile grazie alla collaborazione con Marcello, Alberto e Alessandro Mantica, insieme a Aldo e Silvana Panegrossi, eredi della famiglia stessa. Per mancanza di documentazione presenta ancora diverse lacune come, ad esempio, la data di morte di alcuni componenti. Una di queste carenze è stata colmata, grazie al ritrovamento da parte di Francesca Berardini, di una lapide durante una visita alla chiesa della Madonna delle Grazie di Celano. La chiesa, presso la quale il Vescovo Berardo si ammalò gravemente poco prima di morire (era il 9 settembre del 1130), è conosciuta anticamente con il nome di Sancti Joanni ad Caput Aquae. All’ esterno presenta una suggestiva cripta denominata “Cappella delle Anime Sante”. Al suo interno, se si guarda frontalmente nella parete a destra del piccolo altare, è collocata una lapide che riporta due nomi: “Maria Panegrossi in Carusi m. 9 VI 1876 e Dionisio Carusi m. 15 XII 1892”. Ipotizzato, immediatamente, una probabile provenienza da Colli di questa Maria Panegrossi, dopo aver consultato i documenti dell’Archivio di Stato dell’Aquila, possiamo affermare con assoluta certezza che si tratti di una componente della famiglia del nostro paese. Maria Scolastica Panegrossi (nome completo nell’atto di nascita) nacque a Colli il 14 febbraio del 1828, fu una dei dodici figli di Giannicola Panegrossi e Maria Speranza Latini, quindi sorella, tra gli altri, di Don Paolo, Arciprete a Colli nella seconda metà dell’800 e di Luigi Silvestro pro-sindaco del Comune di Colli intorno al 1860. Delle altre tre sorelle (quattro in realtà, perché Luisa morì a soli 2 mesi) era l’unica di cui non avevamo altre notizie biografiche, esclusa la data di nascita. Le figlie di Giannicola e Maria Speranza - Angela, Carolina Teresa e Filomena Loreta - si unirono in matrimonio, rispettivamente, con: Carlo Giacomini di Tagliacozzo, Antonio Carlizza di Villa Romana e Giovanni Pompei di Tremonti, tutti proprietari terrieri e benestanti di paesi vicini al nosreo. Lo stesso fu per Maria Scolastica coniugata con Giuseppe Carusi, figlio di Dionisio e della defunta Maria Troiani, famiglia benestante di Celano, matrimonio celebrato a Colli nel settembre del 1864. Maria morì piuttosto giovane a soli 48 anni e, per ora, ancora non conosciamo eventuali discendenti. Speriamo in futuro di poter aggiungere altri tasselli per avere un quadro  più preciso della ricca famiglia che per molti anni ha avuto un ruolo essenziale nella vita sociale ed economica di Colli di Monte Bove.

Siginolfum Comitem dona S. Vincenzo a Farfa

Regesto Farfense - Atto con cui Siginolfo dona la chiesa di S. Vincenzo a Farfa


Il documento che pubblichiamo è di un eccezionale valore storico in quanto è tratto da un rarissimo esemplare del Regesto Farfense (la copia in nostro possesso proviene da una importante Università Americana) e attesta la presenza della famiglia comitale dei Conti dei Marsi nella nostra area territoriale nell'XI secolo.
L'atto di donazione della chiesa di S. Vincenzo al Monastero S.ta Maria di Farfa, redatto dal "Iudex et notarius Rainaldus",  è datato 1062, mese di febbraio, indizione XV; rappresenta uno strumento di analisi ontologica per comprendere come è stato costituito il patrimonio di alcuni monasteri in epoca tardo-antica. Dopo il fallimento del tentattivo di costituire una diocesi autonoma a Carsoli, Siginolfo "... filium berardi comitis qui sumus habitatores castelli sancti angeli territorii carsulani...", temendo per la salvezza della propria anima "... et genitoris ac genitricis meae et coniugis meae...", spera di procurarsi per sé e per i suoi parenti l'indulgenza plenaria, concedendo la chiesa di S. Vincenzo al monastero di Farfa.
I confini dell'edificio sacro sono accuratamente descritti: "...A capitem viam, A II° latere fossatum, A III°latere alium fossatum, A pede viam publicam -In alto una strada; al II° lato un fossato, al III° lato un altro fossato, in basso una strada pubblica-)". La viam pubblicam è, senza ombra di dubbio, il vecchio tracciato della Valeria che in quel tratto costeggiava il fiume Turano e seguiva la morfologia della valle medesima. Uno dei testimoni che controfirma l'atto, Burrelli, era un esponente della famiglia comitale, conte dell'attuale Borrello, località abruzzese situata tra Chieti e Castel di Sangro.

L'effervescenza della società civile di Colli

la vecchia torre della chiesa S, Vittoria di Carsoli
Il terzo piano fu opera di Gervasio Gervasi (foto: A. Proietti)
Un'altra testimonianza della effervescenza della società civile di Colli nel corso dei secoli ci viene fornita dai Fatti Storici che ci sono stati fatti pervenire, in copia, da Marcello Mantica.
Abbiamo già avuto modo di tratteggiare la figura del poeta Berardino Simeoni  (detto il Riccio) che nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, soggetto ad una ammenda per aver violato le norme della fiera di Arsoli, declamò questa quartina su un palco improvvisato:



Venga un dolor di ventre ogni mattina
a chi stabilì legge romana
per accattarmi quattro pomi amari
quattro scudi pagai per due somari.

riuscendo a raccogliere un congruo obolo per saldare l'oblazione. Nota è anche l'attività del Notaio Apostolico Berardinus de Simeonibus e del medico Simeoni. Più oscura era la figura di Gervasio Gervasi, falegname e pittore ma, nei Fatti Storici, si leggono queste note: "Gervasio Gervasi , valente falegname, lavorava a S. Pietro in Roma (un'altra fonte attesta questa notizia: A. ZAZZA,  Notizie di Carsoli, Pietrasecca 1998, aggiungendo che fu il progettista del terzo piano della torre della chiesa S. Vittoria di Carsoli rappresentata nella foto in alto), fece il pulpito ed il confessionale (questa macchina era ancora presente nella chiesa San Nicola di Bari di Colli nei primi anni del secolo) nonché il bancone della sagrestia, si dilettava anche nel pittare..."
Nel testo è presente un'altra notizia preziosa: "...La parrocchia come la fontana che esisteva a Colli fatta fare dai Colonna..." Dal che deriva che la chiesa di San Nicola di Bari può essere stata edificata al massimo nel 1497, anno in cui Colli passò sotto il dominio dei Colonna che spodestarono gli Orsini.

Piazza Palazzo riscoperta

L'ipogeo ritornato in superficie a Piazza Palazzo
Nel corso dei lavori di sistemazione di Piazza Palazzo (pavimentazione in pietra, recupero del fontanile, isolamento dei punti di contatto della chiesa di S. Antonio con la medesima via per contenere l'umidità) è emerso un ipogeo alle spalle dell'arco a tutto sesto che insiste sulla facciata della fonte in pietra scalpellata e dove domina lo stemma araldico dei Colonna.
Il dr. Giacomo Lauri, cultore di storia locale, aveva da tempo formulato l'ipotesi, basata sull'analisi della polisemia degli elementi architettonici della Piazza, che quell'arco fosse l'ingresso di una scalinata di accesso alla cappella palatina dei Colonna, posta nell'area dove è stata edificata, in seguito, la chiesa di S. Antonio. Questa scoperta non suffraga ancora la tesi ma, da un'attenta ricognizione del luogo, si possono intravedere manufatti che sono certamente opera di un intervento normativo antropico.
Che tutto il rione di Piazza Palazzo sia di origine antichissima (verosimilmente il secondo nucleo di popolamento di Colli dopo quello del rione castello) ce lo conferma questo passo del manoscritto Fatti Storici che abbiamo ricevuto da Marcello Mantica.
La parte del manoscritto riguardante il medico Simeoni
"... La famiglia Parente fu la prima a dividersi e fabbricare ai pressi della minore chiesa di S. Berardo (è improbabile che sia questo il luogo perché non vi sono resti di edifici antichi nei pressi della chiesa evocata; più logico pensare che si tratti della chiesa S. Nicola di Bari oppure della chiesa di S, Antonio), e proprio quelle fabbriche che ora diconsi case nuove, tutte dei Parente. La 2.a famiglia furono i Simeoni dell'arco dei [...] a Rosa vedova del Petruncolo (?).In questa famiglia esistevano due preti che dicesi fossero stati avvelenati a Roccabotte ed un medico (si tratta di Berardinus de Simeonibus, notaio apostolico, curato a Colli e a Rocca di Botte, che edificò nel XVII secolo l'altare della Madonna della Concezione nella chiesa di S. Nicola di Bari ed attualmente ius patronandi degli eredi di Simeoni Antonio e Simeoni Luigi e, di un suo nipote Arcipresbitero). Il medico stava a Roma e per la sua villeggiatura a Colli stavasi costruendo il palazzo li sotto a S. Antonio che doveva estendersi chissà quanto di lì ancora verso Apolloni de la l'uccisione di un suo figlio non gli cagionava l'abbandono. Già vi abitava con la famiglia in quello che aveva accomodato quando sventura volle, un suo figlietto si alzava la notte e andava ad insultare le lavandaie li vicino alla fontana, un imbecille della famiglia Parente un giorno si pose in agguato presso la chiesa di San Rocco e l'uccise con una fucilata e questa fu la causa che il medico abbandonò il palazzo a Colli e ruppe l'acquedotto delle acque che venivano a Colli e da quell'epoca si allontanò l'acqua da Colli. La terza famiglia fu quella dei Lauri e così di mano in mano venivano allargandosi di basso..."
Anche in questo caso mi sono avvalso dell'interpretazione del manoscritto Fatti Storici inviatami da Giovanni Anastasi, che ringrazio.

Quando i conti tornavano

Dettaglio delle offerte per la Ricognizione Canonica del 1961
Nel Maggio del 1961 ci furono a Pescina delle solenni celebrazioni per ricordare il VI° centenario della traslazione del corpo di Berardo da Civitas Marsorum (odierna San Benedetto dei Marsi) verso la cittadina attraversata dal Giovenco. Lo stesso anno fu effettuata la ricognizione canonica sul corpo di Berardo.
Il nostro paese, come sempre, partecipò con slancio e generosità a questo sforzo, costituendo un comitato presieduto dal Parroco pro tempore (Don Donato Marsili) e nel quale era preponderante la presenza di operatori economici dell'epoca. Furono raccolte L. 732.350, così utilizzate:
A. Per i paramenti pontificali L. 212.000;
B. Per il volto riproducente le fattezze del Santo L. 100.000;
C. Rete Argentata, Legature ecc. L. 100.000;
D. Croce Pettorale d'Argento dorata L. 30.000;
E. Balsamo, Motu vari, Tubi di vetro sintetico, Spese viaggio e Onorari Rev.mo P. Pacciardi ricognitore e ricompositore del sacro corpo L. 150.000;
F. Impianto elettrico con tubi a Neon e reattori per illuminazione del santo e dell'urna L. 50.000.
Totale spese L. 642.000; attivo L. 90.350.
Il Programma delle festività
Redatti due elenchi delle offerte distinti tra i collesi residenti e non. Vi sono molti contributi di cittadini dei paesi vicini e provenienti da altri continenti. E' registrato un obolo della famiglia Petruccetti di Montesabinese che ottenne nell'Ottocento un prodigio da Berardo.
Sorprende questa meticolosa trasparenza antica, se la si correla con le pratiche opache di qualche tempo fa, che inducevano, costantemente, a testare i limiti della legalità.
E' confortante che, l'inverno scorso, l'Assemblea dei confratelli di S. Berardo abbia deciso di ripristinare la distinzione tra le funzioni apicali dell'istituzione e quelle finanziarie e di istituire un comitato dei Revisori dei conti: è il sintomo che un vecchio mondo sta morendo e ne sta nascendo, sia pure con difficoltà, uno nuovo.

L' ...oscuramento degli affreschi di S. Berardo

La conversione del bravo De Ambrosio
In una nota manoscritta del dr. Giuseppe Mantica, (1909-1970) si trova la soluzione dell'enigma di quando furono ricoperti gli affreschi che lo scorso anno sono stati riportati alla luce nella chiesa di San Berardo.
L'illustre cultore d'arte raccolse la testimonianza di Vittorio Di Giacomo (1917-2005) che fornì una descrizione minuziosa dell'opera pittorica: "...stava inginocchiato davanti ad un crocefisso. Egli chiedeva il perdono per le sue bravate e il crocefisso è rappresentato con la testa piegata in segno di assenso. Il Barnabei aveva i capelli lunghi, colletto arricciato, polso ricamato, pantaloni in nero aderenti, scarpe con fibbia."
Una ricordo cosi vivo e preciso (era inaridito solo sul colore dei pantaloni) si ha dopo una lunga contemplazione dell'opera; è quindi altamente probabile che il magnifico affresco sia stato ricoperto nel 1933 (quando Vittorio aveva 16 anni, quindi è stato visibile per 308 anni) dal ...Braghettone locale, Francesco Corradino che, come hanno dimostrato i vari saggi esperiti sulla chiesa lo scorso anno, coadiuvato dai suoi assistenti Salvadei Andrea e Gervasi Luigino, si è cimentato in quest'opera di ricopertura degli affreschi in molte parti dell'edificio sacro.
La ...firma del... Braghettone Corradino
E' quindi praticamente certo che sino a quella data i collesi abbiano potuto ammirare quella magnifica rappresentazione che, dal 2015, si può nuovamente apprezzare in tutto il suo splendore, nella chiesa di San Berardo, per la solerte attenzione che il Presidente dell'Amministrazione Separata dei beni Civici Mario Dionisi, rivolge al patrimonio artistico di Colli.
Vittorio di Giacomo confida, inoltre, altri particolari coloriti ed inediti sulla figura di Fabrizio de Ambrosio (alias Barnabei): sembra che fosse un provetto lanciatore del giavellotto e che riuscisse a scagliare l'attrezzo oltre il campanile della chiesa di San Nicola di Bari. Sapeva anche maneggiare con destrezza il pugnale perché spesso si recava nei paesi vicini a sfidare a duello i cittadini del luogo nel corso delle feste patronali. Questa attitudine gli aveva procurato una fama di ...guastafeste.
Ringrazio i fratelli Mantica, ed in particolare Marcello, che mi hanno voluto conferire la copia fotostatica degli appunti che il loro compianto papà aveva raccolto su Colli, forse con il proposito di scriverne una storia, che sono una miniera di notizie interessanti sul nostro paese.

Ricostruito l'albero genealogico dei Panegrossi

L'albero Genealogico della famiglia Panegrossi redatto dal Dr. Mantica
Un prezioso manoscritto lasciato dal dr. Mantica (consorte di Valeria Panegrossi), custodito da Marcello Mantica, ci consente di avere un'esatta rappresentazione dell'albero genealogico della prestigiosa famiglia Panegrossi di Colli di Monte Bove.
Questo testo è un'ulteriore smentita alle fantasiose ricostruzioni sull'origine della famiglia, nel Seicento, apparse su un periodico locale e sul portale di informazione locale Terremarsicane. Avevamo già dimostrato, in un precedente post, che non vi era traccia dei Panegrossi a Colli nella seconda metà del Seicento ed avevamo pubblicato il primo documento che attestava la loro esistenza nel nostro territorio, grazie al professore Adolfo Bultrini che ci aveva fatto pervenire l'atto di matrimonio tra Antonio Panegrossi e Angela Romana Carlizza del 1782. Era la stessa fonte che, autonomamente, il dr. Mantica aveva rintracciato nella seconda metà del secolo scorso.
Il manoscritto ci propone anche un'interessante novità: il tratteggio di uno stemma araldico che per l'iconografia fa pensare ad una origine nobile della famiglia Panegrossi. La presenza, nella referenza iconografica, di monti trilobati ricorda lo stemma della famiglia comitale dei Marsi (cinque monti).
Infine seguendo questo collegamento ipertestuale si ottiene, in download xls, una più accurata ricostruzione dell'albero genealogico della famiglia Panegrossi che è il frutto della collaborazione di Marcello, Alberto e Sandro Mantica con il Dr. Aldo e Silvana Panegrossi.

Agli albori della storia di Colli

Un periodo scarsamente studiato della storia di Colli è quello della sua probabile fondazione. Spesso l’aneddotica, il mito fondante del Paladino Orlando e la sua spada Durlindana, rispolverato anche di recente sui social network con risvolti decisamente esilaranti, prendeva il sopravvento sulla ricerca scientifica rigorosa: tra le tante ipotesi frivole che ci è capitato di leggere soltanto due contributi, legati, in verità, più alla linguistica che alla ricerca storiografica e, una lontana eco, nelle Annotazioni delle Memorie storiche... di don Paolo Panegrossi ci sono parsi come lodevoli sforzi per comprendere questo evento cruciale del nostro paese.
Gli scavi che l’école français de Rome ha condotto lungo la valle del Turano dal 1993 e la pubblicazione del voluminoso carteggio relativo ai sondaggi svolti che hanno rivelato le due fasi di “incastellamento” del territorio, unito al prezioso lavoro di ricerca effettuato sui documenti castrali del Regesto Farfense e sulle vicende dinastiche della famiglia dei Conti dei Marsi nell’area, ci consentono ora di comprendere meglio, almeno la temperie storico-sociale, nella quale è stato costruito il castello, primo nucleo abitativo dalla espansione del quale sorse Colli.
Genealogia dei Conti dei Marsi
La prima attestazione documentale della presenza dei Conti dei Marsi nella media valle del Turano risale al 1030; ma i possedimenti della famiglia comitale in territorium carsolanum risalgono alla seconda metà del X secolo ed è altamente probabile che il castello di Colli sia stato costruito in questa epoca, prima come baluardo alle esondazioni saracene dalla valle del Turano, poi entrando a far parte di un sistema di difesa speculare che comprendeva il castello di Oricola e di Carsoli.
Al primo posto dei proprietari fondiari della valle del Turano figuravano i Conti dei Marsi e di Rieti. Dopo la morte del capostipite Berardo I (947-972), suo figlio Rainaldo II (972-1000) gli successe come Conte dei Marsi, mentre un secondo figlio Teodino (970-1000), divenne Conte di Rieti.
Il tentativo della dinastia di radicarsi profondamente nell'area è testimoniata dalla creazione di una effimera Diocesi di Carsoli dal 1050 al 1056 (vescovo Attone) e di ritagliarsi un territorio ben munito e fortificato procedendo al cosiddetto "primo incastellamento" della media valle del Turano, come hanno confermato gli scavi dell'école français de Rome nei territori di Offiano e Montagliano. Dal 1060, la rottura della solidarietà familiare, determinò lo smembramento di questi possedimenti a vantaggio dell'abbazia di Farfa.
 

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