VEDERE L'ALBUM DEI PELLEGRINAGGI
La Tradizione dei Pellegrinaggi a Colli
Pubblicato da
Maurizio
, 17/12/09 at 19:33, in
Etichette:
Pellegrinaggi
La tradizione dei Pellegrinaggi è stata costantemente rispettata, da tutte le generazioni, dei collesi. La ragione di questa fervente religiosità è da ricercarsi, probabilmente, nella nascita a Colli di San Berardo. Dall'Ottocento il nostro paese è sede di Arciprete. Spesso, questi, è stato coadiuvato da un altro sacerdote o da non meglio precisati "eremiti" (Ordine di espulsione da Colli del 1816, post del 26/06/09 e dettaglio delle spese per costruzione del'orologio del campanile, post del 22/06/09).
Le mete tradizionali di questi pellegrinaggi erano: la SS. Trinità a Vallepietra (è ancora in auge l'usanza di recarsi al santuario a piedi), San Gabriele, la Madonna di Loreto.
Negli ultimi anni le destinazioni si sono fatte più ...esotiche: Lourdes, Fatima, Basilica di S. Antonio a Padova, ecc. e, non si disdegna, di soggiornare anche alcuni giorni, in località turistiche prossime ai luoghi di culto.
VEDERE L'ALBUM DEI PELLEGRINAGGI
VEDERE L'ALBUM DEI PELLEGRINAGGI
Berardo nel Dizionario Biografico degli Italiani
Nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani è presente anche la voce dedicata a San Berardo a firma di: Zelina Zafarana. L'articolo si compone di 6577 battute e rappresenta la più completa ed attendibile ricostruzione della vita di San Berardo per la pluralità delle fonti ed il rigore scientifico.
Il Dizionario Biografico degli Italiani, opera monumentale dell'Istituto Treccani in continua evoluzione, raccoglie le biografie degli italiani dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente ai nostri giorni. Si avvale del maggior numero di collaboratori di tutte le opere pubblicate dall'Istituto Treccani. Sono previsti 110 Volumi, 35.000 Biografie ed oltre 80.000 pagine di testo.
BERARDO, santo. - Nacque intorno al 1080, da Berardo dei conti dei Marsi e da Teodosia, nel castello di Colli, nella diocesi dei Marsi, non lontano dall'Aquila. Fonte principale, e quasi esclusiva, per la sua vita è la biografia scritta dal discepolo Giovanni, che fu canonico di S. Sabina a Valeria e poi vescovo di Segni, poco dopo la morte di B.: essa venne edita dall'Ughelli, da un codice della chiesa di Trasacco, e poi di nuovo negli Acta Sanctorum, in base anche a collazione con un frammento rinvenuto nella biblioteca Barberini (ora in Bibl. Apost. Vat., Vat. Barb. Lat. 1803).
B. ricevette l'educazione letteraria presso i canonici di S. Sabina a Valeria, cattedrale della diocesi dei Marsi, e in questa chiesa fu ordinato accolito dal vescovo Pandolfo; su richiesta del padre, Pandolfo lo mandò quindi a Montecassino, dove rimase sei anni e dove studiò sotto la guida del grammatico Paolo il Cieco che, secondo una notizia di Giovanni da Segni, ne avrebbe lasciato un elogio in un suo commento al Cantico dei Cantici andato perduto. Da Montecassino fu chiamato a Roma da papa Pasquale II, che lo ordinò suddiacono e lo costituì quindi "Campaniae provinciae comes", carica in cui B. ebbe modo di dimostrare prudenza ed energia nel reprimere delitti e ruberie e tener testa alle tirannidi locali: il suo biografo afferma di aver raccolto egli stesso in quella regione, ancora al tempo in cui scriveva, attestazioni dell'affetto che egli vi si era guadagnato. Fu tuttavia proprio nell'esercizio di questa carica che B. fu vittima di un attentato da parte di Pietro Colonna, il quale lo catturò e lo rinchiuse in una cisterna prosciugata, da cui riuscì a liberarlo il miles Giovanni da Petrella, suo consanguineo. Tornato a Roma, il pontefice creò B. cardinale diacono di S. Angelo in Pescaria e lo condusse con sé nel viaggio in Francia intrapreso alla fine del 1106: ci rimangono sue sottoscrizioni in vari diplomi rilasciati da Pasquale II nel corso del suo itinerario: una a Langres il 24 febbr. 1107, due a Valenza nel luglio, una il 10 settembre a Modena. La notizia del biografo, secondo cui B. sarebbe stato creato cardinale prete di S. Crisogono, ha dato adito a discussioni: posta in dubbio già dai Bollandisti e dichiarata erronea dal Klewitz - in base al fatto che nel settembre 1107 egli si firma ancora diacono di S. Angelo, e che nel 1111 il titolo di S. Crisogono appare occupato da un cardinale Gregorio -, la sua plausibilità è stata molto di recente riaffermata dal Ganzer, che sostiene la possibilità di una nomina al nuovo titolo per lo spazio fra il 1107 e il 1111. Ma un'ulteriore sottoscrizione di B. come 'Berardus de Pisciola' ad un documento di Pasquale II per Subiaco, in data 26 agosto 1109 (cod. Ottob. 3057, f. 139a), segnalato dal Kares, viene a restringere di molto questo spazio, e a confermare quindi, circa la notizia del biografo, il sospetto che si tratti di una confusione con Bernardo degli Uberti, cardinale del titolo di S. Crisogono dal 1099 al 1106. In ogni caso, che B., dopo la sua consacrazione a vescovo dei Marsi, che avvenne intorno al 1110, abbia lasciato ogni titolo cardinalizio appare dimostrato dal fatto che - come abbiamo visto - sia il titolo di S. Crisogono, sia quello di S. Angelo furono in seguito, lui vivente, occupati da altri. B. aveva, al momento della sua consacrazione a vescovo dei Marsi, trent'anni, e la sede dei Marsi era nelle mani dello scismatico Sigenolfo, installatovi dall'antipapa Clemente III.
L'attività episcopale di B. si appuntò particolarmente sulla lotta contro la simonia, il concubinato del clero e la dissolutezza dei laici in materia di matrimonio. Il suo rigore contro i potenti locali, che scomunicò più volte, gli valse forti opposizioni e ripetute espulsioni. Durante tali forzati esili si rifugiò a Roma, resse temporaneamente le chiese di Alatri e Veroli (qui il vescovo Lieto era stato da Pasquale II sospeso dalla sua dignità, in cui lo ristabilirà nel 1118 Gelasio II) e compì una legazione in Sardegna. Nell'ottobre 1113 sottoscrisse in Ferentino un documento di Pasquale II, che decideva su una contesa fra l'arcivescovo Landolfo di Benevento e il vescovo di Troia.
Da Pasquale II ottenne, il 25 febbr. 1114, la conferma dei confini, possessi e diritti della sua diocesi. Nel 1117 interveniva alla consacrazione della cattedrale di Palestrina, compiuta il 16 dicembre dal pontefice. Nel 1122 a Trasacco sottoscriveva una donazione del conte Crescenzio alla chiesa dei SS. Martiri Cesidio e Rufino. Intorno al 1122 fu incaricato da Callisto II di decidere una causa fra il vescovo di Penne, Grimaldo, e il monastero di S. Bartolomeo di Carpineto.
Nel settembre 1130 B., in visita presso la chiesa di S. Giovanni in Capite Aquae (nella regione di Celano), cadeva malato, e si faceva trasportare nella cattedrale di S. Sabina, dove morì il 3 novembre e dove fu sepolto.
La sua tomba fu subito oggetto di culto nella diocesi dei Marsi. Nel 1580, a causa dei trasferimento della sede episcopale dalla città di Valeria, in rovina e disabitata, a Pescina, avvenne la traslazione della salma di B. nella chiesa di S. Maria del Popolo di Pescina, in seguito dedicata al suo nome (1743). Il culto, che non fu inserito nel Martirologio Romano, fu confermato da Pio VII alla diocesi dei Marsi (1802, 20 maggio) ed esteso quindi alla diocesi di Palestrina.
Lo Eggs nel Supplementum novum purpurae doctae, Augustae Vindelicor. 1729, pp. 49 s., ricorda un suo Tractatus pro restauratione morum ecclesiasticorum, "qui Marsis extat manuscriptus": ma oltre a questa notizia - ripresa dal Mazzuchelli (Gli Scrittori d'Italia, I 1, 2, Brescia I 760, p. 913) - non si ha traccia alcuna dello scritto attribuitogli.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 892-902; P. A. Corsignani, Reggia Marsicana, Napoli 1738, I, pp. 682, 547; II, pp. 152-65, 544, 547 s.; Acta Sanctorum novembris, II, 2, Bruxelles 1894, pp. 125-135; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig u. Berlin 1913, pp. 282 ss.; O. Kares, Die Kardinäle des elften Jahrh.s (996-1143). Statistische-chronol. Studien, Füssen 1949 (datt.), p. 242; H.-W. Klewitz, Reformpapsttum und Kardinalkolleg, Darinstadt 1957, p. 133; E. Ferracci, II cardinale s. Berardo vescovo dei Marsi, alfiere dei diritti della Chiesa, in L'Osserv. romano, 25-26 sett. 1961, p. 6; K. Ganzer, Die Entwicklung des auswärtigen Kardinalats im hohen Mittelalter, Tübingen 1963, pp. 67 ss., 192 s. e passim; Dict. d'Histoire et de Géographie Ecclés., VIII, coll. 320 s.; Bibliotheca Sanctorum, II, col. 1268.
B. ricevette l'educazione letteraria presso i canonici di S. Sabina a Valeria, cattedrale della diocesi dei Marsi, e in questa chiesa fu ordinato accolito dal vescovo Pandolfo; su richiesta del padre, Pandolfo lo mandò quindi a Montecassino, dove rimase sei anni e dove studiò sotto la guida del grammatico Paolo il Cieco che, secondo una notizia di Giovanni da Segni, ne avrebbe lasciato un elogio in un suo commento al Cantico dei Cantici andato perduto. Da Montecassino fu chiamato a Roma da papa Pasquale II, che lo ordinò suddiacono e lo costituì quindi "Campaniae provinciae comes", carica in cui B. ebbe modo di dimostrare prudenza ed energia nel reprimere delitti e ruberie e tener testa alle tirannidi locali: il suo biografo afferma di aver raccolto egli stesso in quella regione, ancora al tempo in cui scriveva, attestazioni dell'affetto che egli vi si era guadagnato. Fu tuttavia proprio nell'esercizio di questa carica che B. fu vittima di un attentato da parte di Pietro Colonna, il quale lo catturò e lo rinchiuse in una cisterna prosciugata, da cui riuscì a liberarlo il miles Giovanni da Petrella, suo consanguineo. Tornato a Roma, il pontefice creò B. cardinale diacono di S. Angelo in Pescaria e lo condusse con sé nel viaggio in Francia intrapreso alla fine del 1106: ci rimangono sue sottoscrizioni in vari diplomi rilasciati da Pasquale II nel corso del suo itinerario: una a Langres il 24 febbr. 1107, due a Valenza nel luglio, una il 10 settembre a Modena. La notizia del biografo, secondo cui B. sarebbe stato creato cardinale prete di S. Crisogono, ha dato adito a discussioni: posta in dubbio già dai Bollandisti e dichiarata erronea dal Klewitz - in base al fatto che nel settembre 1107 egli si firma ancora diacono di S. Angelo, e che nel 1111 il titolo di S. Crisogono appare occupato da un cardinale Gregorio -, la sua plausibilità è stata molto di recente riaffermata dal Ganzer, che sostiene la possibilità di una nomina al nuovo titolo per lo spazio fra il 1107 e il 1111. Ma un'ulteriore sottoscrizione di B. come 'Berardus de Pisciola' ad un documento di Pasquale II per Subiaco, in data 26 agosto 1109 (cod. Ottob. 3057, f. 139a), segnalato dal Kares, viene a restringere di molto questo spazio, e a confermare quindi, circa la notizia del biografo, il sospetto che si tratti di una confusione con Bernardo degli Uberti, cardinale del titolo di S. Crisogono dal 1099 al 1106. In ogni caso, che B., dopo la sua consacrazione a vescovo dei Marsi, che avvenne intorno al 1110, abbia lasciato ogni titolo cardinalizio appare dimostrato dal fatto che - come abbiamo visto - sia il titolo di S. Crisogono, sia quello di S. Angelo furono in seguito, lui vivente, occupati da altri. B. aveva, al momento della sua consacrazione a vescovo dei Marsi, trent'anni, e la sede dei Marsi era nelle mani dello scismatico Sigenolfo, installatovi dall'antipapa Clemente III.
L'attività episcopale di B. si appuntò particolarmente sulla lotta contro la simonia, il concubinato del clero e la dissolutezza dei laici in materia di matrimonio. Il suo rigore contro i potenti locali, che scomunicò più volte, gli valse forti opposizioni e ripetute espulsioni. Durante tali forzati esili si rifugiò a Roma, resse temporaneamente le chiese di Alatri e Veroli (qui il vescovo Lieto era stato da Pasquale II sospeso dalla sua dignità, in cui lo ristabilirà nel 1118 Gelasio II) e compì una legazione in Sardegna. Nell'ottobre 1113 sottoscrisse in Ferentino un documento di Pasquale II, che decideva su una contesa fra l'arcivescovo Landolfo di Benevento e il vescovo di Troia.
Da Pasquale II ottenne, il 25 febbr. 1114, la conferma dei confini, possessi e diritti della sua diocesi. Nel 1117 interveniva alla consacrazione della cattedrale di Palestrina, compiuta il 16 dicembre dal pontefice. Nel 1122 a Trasacco sottoscriveva una donazione del conte Crescenzio alla chiesa dei SS. Martiri Cesidio e Rufino. Intorno al 1122 fu incaricato da Callisto II di decidere una causa fra il vescovo di Penne, Grimaldo, e il monastero di S. Bartolomeo di Carpineto.
Nel settembre 1130 B., in visita presso la chiesa di S. Giovanni in Capite Aquae (nella regione di Celano), cadeva malato, e si faceva trasportare nella cattedrale di S. Sabina, dove morì il 3 novembre e dove fu sepolto.
La sua tomba fu subito oggetto di culto nella diocesi dei Marsi. Nel 1580, a causa dei trasferimento della sede episcopale dalla città di Valeria, in rovina e disabitata, a Pescina, avvenne la traslazione della salma di B. nella chiesa di S. Maria del Popolo di Pescina, in seguito dedicata al suo nome (1743). Il culto, che non fu inserito nel Martirologio Romano, fu confermato da Pio VII alla diocesi dei Marsi (1802, 20 maggio) ed esteso quindi alla diocesi di Palestrina.
Lo Eggs nel Supplementum novum purpurae doctae, Augustae Vindelicor. 1729, pp. 49 s., ricorda un suo Tractatus pro restauratione morum ecclesiasticorum, "qui Marsis extat manuscriptus": ma oltre a questa notizia - ripresa dal Mazzuchelli (Gli Scrittori d'Italia, I 1, 2, Brescia I 760, p. 913) - non si ha traccia alcuna dello scritto attribuitogli.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 892-902; P. A. Corsignani, Reggia Marsicana, Napoli 1738, I, pp. 682, 547; II, pp. 152-65, 544, 547 s.; Acta Sanctorum novembris, II, 2, Bruxelles 1894, pp. 125-135; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig u. Berlin 1913, pp. 282 ss.; O. Kares, Die Kardinäle des elften Jahrh.s (996-1143). Statistische-chronol. Studien, Füssen 1949 (datt.), p. 242; H.-W. Klewitz, Reformpapsttum und Kardinalkolleg, Darinstadt 1957, p. 133; E. Ferracci, II cardinale s. Berardo vescovo dei Marsi, alfiere dei diritti della Chiesa, in L'Osserv. romano, 25-26 sett. 1961, p. 6; K. Ganzer, Die Entwicklung des auswärtigen Kardinalats im hohen Mittelalter, Tübingen 1963, pp. 67 ss., 192 s. e passim; Dict. d'Histoire et de Géographie Ecclés., VIII, coll. 320 s.; Bibliotheca Sanctorum, II, col. 1268.
Il Reportage di Raffaella sulla Festa dell'Agorà
Pubblicato da
Maurizio
, 24/11/09 at 11:21, in
Etichette:
Agorà
Pubblichiamo il reportage che Raffaella Girlando ci ha inviato sulla Festa dell’Agorà, svoltasi a Carsoli il 15 Novembre 2009.
L’utilizzo di un linguaggio a volte poetico, altre volte, descrittivo , ci fa rivivere le sensazioni e le emozioni di quella magica giornata.
Infine abbiamo deciso di pubblicarlo su questo spazio, senza alcun commento fotografico, perché, così come spesso accade, che la Letteratura anticipi la descrizione di eventi storici, anche nel caso di questo testo, un uso sapiente delle parole, evoca delle immagini oniriche che danno vita a una sorta di disegno in movimento molto più coinvolgente di un’immagine fotografica.
Spendo “due” parole per la manifestazione a mio avviso organizzata in maniera eccellente. Sono solo le mie impressioni:
L’utilizzo di un linguaggio a volte poetico, altre volte, descrittivo , ci fa rivivere le sensazioni e le emozioni di quella magica giornata.
Infine abbiamo deciso di pubblicarlo su questo spazio, senza alcun commento fotografico, perché, così come spesso accade, che la Letteratura anticipi la descrizione di eventi storici, anche nel caso di questo testo, un uso sapiente delle parole, evoca delle immagini oniriche che danno vita a una sorta di disegno in movimento molto più coinvolgente di un’immagine fotografica.
I pasti sono stati ben distribuiti perché ogni piatto aveva il suo Stand quindi non si sono verificate le solite file interminabili cui siamo abituati nelle sagre estive… Ogni pro loco ha potuto dedicarsi esclusivamente alla preparazione di una o al massimo due ricette tipiche così dà avere come risultato la perfezione del gusto, della giusta cottura e della presentazione dei piatti serviti. Il tempo che ha fatto da complice ci ha permesso di passeggiare in tranquillità e di osservare gli antichi mestieri. Emozionante è stato osservare lo stupore di mio figlio di soli cinque anni che per la prima volta poteva dal VIVO ammirare un fabbro che batteva l’incudine e plasmava il ferro arroventato che divenuto molle si trasformava in un anello o in un ferro di cavallo… mi sono emozionata perché oggi i bimbi…ma anche gli adolescenti, nell’era del tecnologico del multimediale e delle consolle, stanno perdendo il senso della realtà… credo che sia importante mantenere vive certe tradizioni e manifestazioni per tramandare alle generazioni future il nostro passato, la nostra cultura che non è preistoria… Osservare un cestaio…che intreccia le verghe e con i movimenti del busto da vita a un cesto dalle forme più disparate può far rendere conto che prima delle macchine c’erano gli artigiani…e che ciò che si legge nei libri non è solo carta stampata ma la realtà della nostra storia e della nostra cultura…che dietro un oggetto c’è il lavoro, l’impegno e soprattutto l’ingegno umano. Divertente è stato anche osservare come i bimbi compreso il mio si divertivano a raccogliere i trucioli del legno che l’intagliatore faceva cadere a terra mentre plasmava un volto... Il commento di Paolo (mio figlio…) è stato… “mamma… come profumano questi coriandoli di legno…!!!" Eh si!!! Profumavano proprio… un odore antico che oggi è stato ahimè dimenticato Passeggiando infatti per il paese…...non si sente più l’odore del legno… il rumore della sega o della pialla che forgia magari un tavolo o una sedia né il TIN TIN TIN TIN della mazza che batte il ferro…per forgiare alari o ferri di cavallo come faceva “Zi Petruccio…” (ricordo quando ancora ero bambina - quindi non più di 25-26 anni fa in cui avevo l’età di mio figlio…- e con nonno andavo dal falegname a prendere le tavole per costruire un’altalena o un panchetto…) Oggi si sente l’odore dello smog… il rumore delle accelerate di macchine un po’ troppo frettolose e il via vai impazzito delle persone che stressate (a volte per moda…) dal tran tran quotidiano e a malapena si salutano o si fermano a scambiare quattro chiacchiere in tranquillità… Bè questo è invece accaduto alla Festa Dell’Agorà… è stato come se il tempo si fosse fermato come se all’improvviso fossimo stati catapultati in un’epoca in cui le macchine non erano state inventate e si poteva passeggiare liberamente con molta calma al centro del corso incontrare i vecchi amici; Sorseggiare con loro un bicchiere di vino in piazza e mangiare pasta ammassata a mano come una volta e ancora delle caldarroste…tra una risata e un “.. Ricordi quando….!!!!”…. HAHAHAH!!!” … annusare l’odore dei formaggi tipici avvolti a un canovaccio e delle ottime salsiccette di Campotosto o gustare i meravigliosi confetti della Pelino di Sulmona e ancora il profumo del miele artigianale e delle marmellate fatte in casa… Mio figlio esterefatto voleva vedere tutto, non perdersi niente, rincorreva il trampoliere e osservava lo spettacolo teatrale con un occhio un po’ titubante perché alcune maschere lo spaventavano… ha voluto provare “l’ebbrezza della filatura” …e così eccitato dal fatto che da alcuni semplici intrecci lui aveva creato un tessuto… ha voluto che gli acquistassi il telaio e la lana… (così ho potuto nascondere per un po’ il GAME BOY!!!)… Come lui anche molti altri bambini eccitati correvano qua e là… La giornata è terminata con uno zucchero filato gigantesco rosa… quando il sole oramai era andato a riposare… e felici e un po’ stanchi siamo tornati a casa ma con il cuore caldo e pieno di ricordi di una lunga giornata che per noi (io e mio figlio) è stata magica!
Palmino Ferrante Poeta di Colli di Monte Bove
Pubblicato da
Maurizio
, 20/11/09 at 17:44, in
Etichette:
Costume,
Cultura,
Palmino Ferrante,
Poesia
Queste due poesie di Palmino Ferrante, che l'autore ha appositamente vergato a mano per i lettori di questo blog, rappresentano due momenti diversi della vita di colui che ha dovuto forzatamente lasciare il proprio paese di origine ma che ogni volta che vi ritornava riprovava le sensazioni della sua infanzia. L'altra, invece, ci racconta il paese con i suoi ..."rumori" di allora e, il silenzio, talvolta spettrale, di oggi.
La Poesia Colli di Monte Bove è stata premiata al concorso nazionale di poesia "L'Albero Andronico" al Campidoglio di Roma e la Giuria, insigne riconoscimento, ha pregato l'autore di redigerla anche in italiano per essere conservata agli atti del Premio.
Palmino Ferrante ha pubblicato una dozzina di libri di poesia: ne abbiamo scelte quattro e le abbiamo fatte riscrivere dall'autore, per far apprezzare più compiutamente questo nostro amatissimo poeta.
Piccolo Dizionario dei riti del Matrimonio a Colli
Un solo grido!: "...Piucchiù, nun' zo ppiù..."
Questo sarà un Post work in progress, aperto alla collaborazione di tutti i lettori del Blog. La mission sarà quella di redigere un piccolo dizionario dei riti che circondavano a Colli il matrimonio di un tempo: proverò a descrivere gli eventi che rammento, con la consapevolezza che sono ricordi aridi, scheletrici, sommari e lacunosi. Chi vorrà potrà postare nei Commenti lemmi integrativi o aggiuntivi, oppure inviarmeli per email (l'indirizzo è in fondo al Blog alla voce Contatti) per essere trascritti qui.
Da Giovanni Anastasi riceviamo e pubblichiamo integralmente:
I MATRIMONI A COLLI DELL'OTTOCENTO: I festeggiamenti avevano la durata di una settimana e nelle tre domeniche precedenti avevano luogo le pubblicazioni. La prima domenica di pubblicazione la sposa andava in chiesa vestita con abito di seta con velo accompagnata da parenti e amiche. Tornata a casa riceveva il "primo complimento" (rinfresco).
all' inizio della quarta settimana il fratello ( o un parente) dello sposo accompagnava la sposa a casa dello sposo. alla porta ad attenderla c'era la suocera con un ciambellone che le diceva: "Sposa mia bella, portami la pace e non la guerra". Veniva fatto un rinfresco poi la sposa con tutti i parenti tornava a casa e offriva loro il pranzo.
Il matrimonio si celebrava la mattina del sabato quando lo sposo, accompagnato da una sorella o zia, andava a prendere la sposa, accompagnata anch'ella da una sorella o da una zia. Si andava in chiesa in quattro e i genitori restavano in casa. Finita la celebrazione si andava a casa della sposa dove c'era una colazione per gli invitati. Dopo la colazione lo sposo tornava a casa e la sposa restava coi suoi. Quest'ultima "usciva" di casa la domenica seguente detta "della benedizione" e si rinchiudeva a casa dello sposo per i successivi otto giorni senza uscire dalla propria stanza. Passato questo periodo le due famiglie potevano organizzare il pranzo di nozze.
Tra tutte le usanze di quel tempo, una è particolarmente carina: qualche sabato prima del matrimonio i parenti dello sposo andavano a casa della sposa e cercandola dicevano: "s'è perduta una pecorella e la cerchiamo, è tra le vostre?". Una volta che la sposa si faceva riconoscere, il fratello dello sposo le donava l'anello di fidanzamento: "per amore di mio fratello dammi la mano che ti metto l'anello". poi un altro anello veniva regalato il giorno delle nozze.
Sia i parenti dello sposo e quelli della sposa andavano in giro ad invitare i parenti per il pranzo della domenica con una lanterna. Infine c'era il corredo che veniva trasportato il giovedì precedente dai parenti che inscenavano un mercatino con il corredo e le ciambelle. il tutto finiva con discussioni e risse, naturalmente finte.
(fonti: archivio famiglia Panegrossi)
I CANESTRI: I parenti più stretti della sposa e dello sposo dovevano assolvere a questo compito di inviare un canestro contente per lo più specialità alimentari che venivano poi utilizzate per il cosiddetto "pranzo degli spusi".
Le donne addobbavano questi canestri con nastri e fiori di carta di vari colori che creavano loro stesse; venivano portati sulla testa ed il peso era equilibrato, ed in parte ammortizzato, da un pezzo di stoffa arrotolata. Per consuetudine durante il percorso le portatrici dei canestri venivano accompagnate da un commento musicale (solitamente opera di "Topone"), come mostra la foto in alto a destra.
PRANZO DEGLI SPUSI (Pranzo degli Sposi): Era la riunione conviviale che seguiva la celebrazione del matrimonio in chiesa. Tutti gli invitati alle nozze s'incamminavano, in corteo seguendo gli sposi, verso la sede del simposio culinario. In genere veniva utilizzata una stanza spaziosa, ma, sistematicamente, erano utilizzate anche quelle attigue perchè i convenuti al ...baccanale erano masse ...oceaniche.
CIAMMEGLIO-Glio- (Il Ciambello): Ciao maurizio, sono Giovanni Anastasi e rivedendo le foto del matrimonio dei miei genitori (Elena e Bruno) ho trovato la foto con il ciambello e mi sono fatto spiegare a cosa serviva. Era una semplice tradizione che veniva fatta dopo la cerimonia.
Quando gli sposi entravano nella casa dello sposo, la sposa si inginocchiava alla soglia della porta, la suocera gli donava il ciambello, la sposa lo passava senza guardare dietro e il primo che lo prendeva lo mangiava (in quel caso zio Richetto). Purtroppo non sono riuscito a capire da dove provenisse questa tradizione. Ciao PRANZO DEGLI SPUSI (Pranzo degli Sposi): Era la riunione conviviale che seguiva la celebrazione del matrimonio in chiesa. Tutti gli invitati alle nozze s'incamminavano, in corteo seguendo gli sposi, verso la sede del simposio culinario. In genere veniva utilizzata una stanza spaziosa, ma, sistematicamente, erano utilizzate anche quelle attigue perchè i convenuti al ...baccanale erano masse ...oceaniche.
Tutte le pietanze (portate) venivano preparate la notte precedente le nozze dalle amiche della sposa o della famiglia ma non poteva mai mancare la Cuoca (La Coca, una provetta era Maddalena, quì ritratta nella foto, al centro) che dirigeva tutte le fasi della preparazione delle pietanze. Queste dovevano essere nuerose ed il più abbondanti possibile in quanto erano segno di munificenza delle due famiglie degli sposi e rivestivano una simbologia augurale alla nuova unione. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un ottimo vino (paesano).
Per imbandire le tavole si utilizzavano i servizi buoni di posate e bicchieri che, soprattutto i componenti del Rione (vicinato), mettevano a disposizione.
L'ésprit de finesse dei collesi nelle varie epoche
Può anche essere che per il troppo amore per il proprio paese (come succede anche con le femmes fatales), si possano mitizzarne le vicende, levigare le aporie della realtà ed adagiarsi in una soporifera irrealtà: ma più ci si addentra in questo antro tetro e sconosciuto che è la Cultura a Colli nei secoli scorsi, più si fanno scoperte singolari.
Ad esempio la presenza a Colli, sia pur per un breve periodo (14 mesi: dalla seconda metà del 1918 sino alla fine del 1919. E' stato il predecessore di Don Cesare Lucchetti) di questo Sacerdote Pasquale Di Loreto; eccentrico ma di fine cultura, amante di Parigi e della Belle époque. Da fonte autorevolissima ci è stato confermato che Pasquale visitò l'esposizione Universale di Parigi del 1900 e ne fu profondamente segnato. Esponente di una famiglia agiata del sulmontino il 22 aprile del 1918, ordinò alla "Maison de la Bonne Presse" di Roma una "Lanterna per proiezioni" del valore di 175 Lire. Un prezzo enorme se si considera l'epoca e che si era in pieno primo conflitto mondiale. Inoltre tra le diapositive dei vari Santi commissionate ce ne sono 20, genericamente designate come "Umanistiche", che lasciano adito alle più fantasiose supposizioni...
Nessuno ricorda a Colli il suo sacerdozio, nemmeno i più anziani residenti da me personalmente consultati, ma della sua presenza nel nostro paese è rimasta questa composizione "Parigina" che le pieghe di un testo antico hanno salvato dall'oblio.
Altro personaggio emblematico della storia del costume di Colli è stato Spartaco Di Giacomo (foto in alto a destra). Protagonista della vita politica del paese durante il fascismo e nella prima era repubblicana, di un'eleganza affettata (come mostra la foto: sempre vestito all'ultimo grido della moda) è rimasto celebre anche per la sua sfortunata storia d'amore con una collese: respinto dalla "famiglia" perchè "facea gli scarapocchi sulle carte pe campà" (era impiegato delle Ferrovie dello Stato) e non era possessore terriero. Il giorno delle nozze della sua amata si presentò in chiesa vestito elegantemente come se dovesse essere lui lo sposo. Questo melodrammone, molto simile ai films americani dell'epoca, purtroppo non ebbe il ...canonico happy end: la giovane sposa morì qualche anno dopo il matrimonio per il grande dolore.
L'immagine riprodotta qui sotto, un pò kitsch (la rosa dipinta a mano, il tappeto variegato di colore, la sigaretta virilmente ostentata tra le dita, il libro, per dare un tocco di intellettualità), è quella di Mariano Gervasi. Pur ipotizzando che la "scena" della foto sia stata costruita in uno studio fotografico, tuttavia la sua realizzazione implica un'accettazione non acritica del prodotto da parte del committente e sta a testimoniare questo gusto per le differenze e l'alterità di cui abbiamo reperito varie tracce nella società civile di Colli del passato.
Si sa che con il trascorrere del tempo le idee diventano sensazioni. Quelle qui esposte sono sensazioni, brillanti ma non chiarificanti, per prospettare una spiegazione globale della vita degli uomini in società?
La Vita di San Berardo con un'ipotesi fantasiosa
La vita di San Berardo ricostruita da Vincenzo Amendola, prelato della Curia di Avezzano, è composta di due parti: L'agiografia del Santo e l'operato di San Berardo come Vescovo dei Marsi . Si conclude con un'ipotesi singolare e fantasiosa, comunque, non suffragata da alcun documento storico -solo una semplice notice apparsa in uno studio di Pietro Antonio Tornamira del 1674 dal titolo: "Della Prosapia Paterna, Materna e di Palermo, Patria della gloriosa Vegine S. Rosalia Monaca e Romita dell'Ordine del Patriarca San Benedetto"- della possibile discendenza di Santa Rosalia, protettrice di Palermo, dai Conti Berardi.
Il testo è interessante in quanto tenta di ricostruire il quadro storico dell'epoca in cui visse San Berardo ma è carente nell'impianto complessivo e il suo epilogo ci appare piuttosto bizzarro. Su di esso si stanno costruendo a Pescina connessioni arbitrarie della famiglia dei Conti Berardi con altri casati, alimentate da personalismi dal sapore millenaristico.
Shanghai Lil Regime Oblige diventa Sciangai Lil
Una copia dello spartito e delle parole in italiano della canzone Shanghai Lil, colonna sonora del film Footlight Parade (Viva le Donne), USA, 1933, lo abbiamo ritrovato a Colli di Monte Bove nella stanza dove la Banda musicale, di solito, teneva le prove. (Il Trailer Originale del film è qui, la banda sonora in MP3 si ascolta seguendo questo collegamento ipertestuale , il video dell' Orchestra Gene Kardos che esegue il brano è in questo link).
Il documento è estremamente importante sotto il profilo storico ed implica risvolti sociologici sorprendenti, sulla cultura di Colli nel secolo scorso.
Come è noto a tutti, durante il ventennio fascista, furono ostracizzati i termini esterofili e gli anglicismi: e qui vediamo come anche questo innocuo (politicamente) titolo di canzone si dovette adeguare alla temperie du temps e quindi bisognò scrivere, Sciangai e non Shanghai, con effetto decisamente farsesco.
L'altro elemento che colpisce, da una lettura attenta dello spartito, è la sua provenienza: Messina e non Torino, Milano o Roma, città dalla vita culturale più rigogliosa e dinamica. Evidentemente il controllo del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) era ferreo nelle grandi città e molto permeabile nelle aree periferiche e più decentralizzate. Inoltre la Sicilia, tradizionalmente, ha avuto solidi legami economici e culturali con l'America.
Infine, fa fantasmare, apprendere che lo spartito è per mandolino, mentre l'ascolto del brano dai Links precedenti, denota una forte corposità e la presenza di una pluralità di strumenti musicali. Sarebbe stato molto curioso, assistere all'esecuzione di Shanghai Lil in questa versione della Banda musicale di Colli...
Il documento è estremamente importante sotto il profilo storico ed implica risvolti sociologici sorprendenti, sulla cultura di Colli nel secolo scorso.
Come è noto a tutti, durante il ventennio fascista, furono ostracizzati i termini esterofili e gli anglicismi: e qui vediamo come anche questo innocuo (politicamente) titolo di canzone si dovette adeguare alla temperie du temps e quindi bisognò scrivere, Sciangai e non Shanghai, con effetto decisamente farsesco.
L'altro elemento che colpisce, da una lettura attenta dello spartito, è la sua provenienza: Messina e non Torino, Milano o Roma, città dalla vita culturale più rigogliosa e dinamica. Evidentemente il controllo del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) era ferreo nelle grandi città e molto permeabile nelle aree periferiche e più decentralizzate. Inoltre la Sicilia, tradizionalmente, ha avuto solidi legami economici e culturali con l'America.
Infine, fa fantasmare, apprendere che lo spartito è per mandolino, mentre l'ascolto del brano dai Links precedenti, denota una forte corposità e la presenza di una pluralità di strumenti musicali. Sarebbe stato molto curioso, assistere all'esecuzione di Shanghai Lil in questa versione della Banda musicale di Colli...
Scrivere la Storia di Colli è impossibile
Una Storia di Colli, in termini strettamente scientifici, -cioè ogni fatto descritto confortato da almeno due fonti diverse, coincidenti e concordanti e che abbia un inizio certo ed un susseguirsi di avvenimenti coerenti ed interconnessi tra loro- non è stata scritta e, probabilmente, non la si potrà mai scrivere. I motivi sono semplici.
Colli non è stato certo…l’ombelico del Mondo, pertanto non esistono, o sono estremamente rari, i documenti sui quali fondare la storia del paese; nessun storico di rilievo si è occupato dei suoi avvenimenti; anche quando Colli ha avuto un relativo dinamismo economico tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Settecento per la presenza della Dogana, le direttrici del più forte tropismo degli scambi commerciali dell’epoca non seguivano certamente l’asse che coincideva con il percorso della Tiburtina-Valeria.
Altra testimonianza che l’influenza di Colli sugli avvenimenti della Storia Antica e Medievale della nostra area è stata scarsa o irrilevante la si ha nella polisemia dei nomi con i quali è individuato nel corso della storia: Colle, Colle Oppido, Colle Zippa, Li Colli, Colli di Monte Bove e, infine, Colli di Montebove nei nuovi ...Vangeli del sapere moderno: Google e Wikipedia. L’instabilità del nome di un paese è sempre indice di poca rilevanza politico-culturale. Per restare soltanto nel nostro piccolo ambito locale Tagliacozzo e Alba (talvolta con le loro desinenze latine) sono sempre individuati con questi nomi nel corso della Storia Antica, Moderna e Contemporanea.
Da questo quadro storico estremamente precario sono nate ricostruzioni della storia del nostro paese, fantasiose, stravaganti e che, talvolta, sconfinano nel …comico. Tra le tante analizziamo quella contenuta nel volume “La Riserva Naturale delle Grotte di Pietrasecca e il territorio di Carsoli tra storia ed arte” di Ezio Burri: citata solo in quanto esempio esaustivo di questo genere storico-letterario minore e non per sottoporre l’autore ad una sorta di …gogna mediatica moderna...
Il Manoscritto di Don Antonio Zazza (1873)
Il "focus", il "target" di questo blog sono sicuramente Colli di Monte Bove, la sua Storia, i suoi Costumi, le Opere d'Arte. Tuttavia in presenza di documenti eccezionali ed inediti, almeno online, dei paesi del carseolano, ci concederemo delle ...licenze editoriali.
E' qui riprodotta la prima pagina del manoscritto del 1873, di Don Antonio Zazza , parroco della chiesa di Santa Vittoria di Carsoli, composto di 48 fogli, custodito presso l'Archivio della Diocesi dei Marsi, in cui l'autore attraverso sue ricerche tenta di capire la storia e le origini dell'area del carseolano e siccome, questa, per retaggi atavici ed arretratezza culturale, è stata sempre avvolta da una spessa coltre di nebulosità, infittita da un sapere mandarinale locale; cerchiamo di contribuire con questo piccolo... granello di sabbia all'opera ciclopica, che resta tutta da realizzare, di capire le nostre origini.
Un grande statista francese, Pierre Mendès France, ripeteva spesso che nelle democrazie moderne bisogna "conoscere per deliberare". Approfittiamo delle opportunità che offre la Rete per diffondere capillarmente questo manoscritto, qui pubblicato in forma di "bonnes feuilles", ma, che invieremo integralmente via email , a chiunque ce ne farà richiesta.
Un Dramma Sociale di 90 Anni fa
Pubblicato da
Maurizio
, 24/09/09 at 16:34, in
Etichette:
Barba
E' quì riprodotto l'accorato appello che una moglie, Annunziata Cofini, rivolge al Comandante del Settimo Corpo d'Armata di stanza a Sulmona, affinchè il proprio marito, Di Giovambattista Giovanni (più noto come "Barba") venisse trasferito in un presidio nelle vicinanze di Colli.
Annunziata elenca le situazioni di disagio, che rasentano l'indigenza, della propria famiglia sottolineando la presenza di sei figli minori e di un suocero di 83 anni inabile al lavoro: questo dramma che potremo definire... post guerra, fu vissuto da molte famiglie di Colli che, malgrado la fine del Primo Conflitto Mondiale, videro molti uomini richiamati per supplire, alle necessità di ordine pubblico del dopoguerra.
Colli era ancora Comune nel 1861
Pubblicato da
Maurizio
, 16/09/09 at 08:54, in
Etichette:
Camachioli,
Orologio del Campanile,
Storia
Abbiamo rintracciato, tra le carte che sono state trasferite al nuovo Priore della Confraternita di San Berardo, Simeoni Giuseppe, un altro documento che testimonia l'autonomia amministrativa di Colli nel 1861.
Questa è la ricevuta di Ducati 70,00 che l'Orologiaio di Tagliacozzo Pietro Camachioli rilascia a Luigi Panegrossi, delegato dal Comune di Colli, per la costruzione di un Orologio da Torre sul Campanile della Chiesa San Nicola di Bari.
Lo stesso artigiano dichiara: "...in pagamento del convenuto prezzo di un Orologio da torre da me stesso attivato in questo Comune...".
Con questo atto, quindi, abbiamo la prova storica che Colli era Comune nel 1861 e si colloca molto più avanti nel 1800 la certezza della sua esistenza, rispetto al precedente documento che, come sappiamo dal post del 26 Giugno 2009, risaliva al 1816.
I... "Fuochi" di Colli di Monte Bove
Non si tratta di...fuochi pirotecnici nè di ipotetici incendi appiccati da fantomatici piromani ma, dello strumento di tassazione più importante vigente nel Regno di Napoli di cui Colli faceva parte.
Attraverso i dati che abbiamo raccolto, sul pagamento di questo tributo, dimostreremo che dalla fine del 1400 e sino agli inizi del 1700, Colli è stato, di gran lunga, il paese economicamente più dinamico del carseolano e che ha goduto di una ricchezza pro-capite (forse sarebbe più opportuno utilizzare l'indicatore pro-famiglia) più alto della zona.
Già i Romani utilizzavano la voce Focus per indicare una famiglia. L'Editto di Rotari intende per Focus "quel luogo delle abitazioni destinato ad accendersi il foco". Firenze codificò nel 1351 il Fuoco come composto da una famiglia di circa 5 persone. Nel Regno di Sicilia Afonso I (1445), eleva a Ducati 3 l'esazione per ciascun Fuoco comprese "le concubine moram seu foculaia facerunt". Nel 1460 Ferdinando I ordinò il censimento dei beni del regno e che si pagasse l'imposizione in "ragione della facoltà di ciascuno".
Da questo breve escursus storico si può comprendere che per numero di Fuochi s'intende quello delle famiglie che ogni paese annoverava nel suo interno.
Fig. 1 - Il tracciato della Valeria da Tibur (Tivoli) ad Alba
Quando sotto il regno di Ferdinando I venne fatto ordine che "tutte le mercanzie introdotte nella Dogana di Napoli, e suo Distretto, vi si dovesse mettere il bullo di piombo di fresco ordinato dal Re, da una parte avendovi scolpito le armi regali e, dall'altra quella del regno, e sotto il nome del Doganiere. Pubblicato nel dì 28 Ottobre 1472", Colli che già doveva godere di qualche privilegio ecclesiastico -ancora oggi la Diocesi dei Marsi classifica il nostro paese come sede di Arciprete- (vi erano almeno tre chiese: quella dentro il Castello, quella dedicata a San Nicola di Bari e quella di San Berardo; il Santuario di Sant'Angelo che, se dobbiamo prestare fede allo studioso abruzzese Melchiorre, era meta di pellegrinaggi da tutta l'Italia centrale, nel Basso e Tardo Medio Evo; il Breve di Clemente VII, antipapa, Privilegium o Notitia secondo altre fonti, ci conferma che il territorio di Colli si estendeva anche nella Valle di Luppa); venne ad assumere un'importanza vitale per la posizione geostrategica che occupava sulla Via Valeria (Fig. 1), diventando Posto di Dogana per i traffici di merci che dal territorio della Campagna di Roma si dirigevano verso le rive dell' Adriatico (Fig. 2).
Fig. 2 -N. Sanson 1648 - Confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli
L'immobile costruito sopra l'arco ha conservato una polisemia di elementi che rendono evidente la sua funzione di punto di osservazione che dal lato Ovest consentiva di spaziare per tutta la vallata che collega Colli a Carsoli e, dal lato Est lo skyline era fissato oltre la località "La Petrella".Fig.3 - Arco de N'Dreone |
La prima sede della Dogana probabilmente è stata questa (Fig. 3). Infatti è il solo Arco che si trova sull'antica Valeria e la cui presenza si giustifica esclusivamente con le sue funzioni fiscali. Oltre ad essere inserito in un complesso architettonico molto più ampio, la maestosità, la ricercatezza del manufatto fanno propendere per l'ipotesi di un utilizzo ...regale; nulla imponeva la sua costruzione: nè la funzione di sottopasso (manifestatamente inutile), nè la funzione di raccordo tra due immobili posti ai lati della strada e riuniti da un unico proprietario (in questo caso la costruzione sarebbe stata più modesta). Ci sono molti altri esempi di archi e sottopassi a Colli ma la loro realizzazione è stata resa necessaria per assicurare il collegamento tra due strade o per consentire l'accesso a edifici e terreni finitimi: una
sola eccezione si ha nel rione "Castello", tuttavia siamo in presenza di una costruzione bassa, angusta, disadorna dove la finalità utilitaristica è manifestatamente espressa (foto a destra).
Arco rione Castello |
Altri elementi rafforzano la tesi che l'Arco de Ndreone sia stato la prima sede della Dogana:
L'edificio situato sul lato Sud della strada, malgrado gli interventi normativi dell'uomo nel corso dei secoli, ha conservato l'aspetto di un complesso buio, tetro, con soffitti altissimi le cui funzioni di magazzino o di deposito appaiono evidenti. Alla destra dell'ingresso una scala ampia immette in un antro sotterraneo che conserva l'aspetto di un carcere.
Sul lato Nord, sopra l'ingresso della cantina di "Ndreone", è ancora possibile osservare un'insegna in muratura che testimonia la presenza di un'osteria. All'interno, scavata nella roccia, c'è una caverna la quale per la sua conformazione, consentiva di tenere al fresco cibi e bevande.
Pertanto, la presenza di un arco sulla Valeria non aveva altra giustificazione che come posto di Dogana; la struttura sovrastante modellata in forma di torre di avvistamento; la presenza di un deposito per le merci, di un carcere e di un'osteria-albergo per il ricovero degli avventori, sono tutti elementi funzionali che fanno propendere per l'ipotesi che "gl'arco de Ndreone" sia stato la prima sede della Dogana di Colli.
Tre Cartografie (1600-1750) con Colli
Pubblicato da
Maurizio
, 16/07/09 at 21:02, in
Etichette:
Fer Nicolas de,
Robert de Vaugondy,
Storia,
Sumptibus Hanrici Hondii
Carta, non datata, proveniente dalla Bibliotheque National de France di Sumptibus Hanrici Hondii (Amstelodami) 1600-1699. Colli è individuato come Colle anche se il cartografo lascia trasparire una leggera incertezza sull'importanza del nostro paese perchè riporta la lettere iniziale "C" sia in lettera capitale che piccola. Nessun altro paese del distretto di Carsoli è rappresentato.
1708 - Provenienza: Bibliotheque National de France. E' opera del cartografo Fer, Nicolas de (1688 - 1766). Abruzze Ulterieure: Colli è individuato come Colle e collocato con approsimazione sulla carta,probabilente per ragioni tipografiche; ancora una volta nessun altro paese del distretto di Carsoli viene rappresentato.
Il castello di Colli venduto agli Orsini (1327)
Pubblicato da
Maurizio
, 15/07/09 at 18:41, in
Etichette:
Castello di Colli,
Conti dei Marsi,
Regesto De Cupis,
Storia
Con il Decreto del 1327 (collegamento ipertestuale per vederlo), proveniente dal Regesto_De Cupis
dell'Archivio Storico Capitolino di Roma, il Re Roberto di Sicilia presta il suo assenso per la vendita
della sesta parte del castello di Colli,
posto nel giustiziarato degli Abruzzi, fatta dal figlio Ottaviano a favore di Orso de filiis Ursi.
Questo documento rappresenta anche la fine
della dominazione dei Conti Berardi, che tanto lustro avevano dato al nostro
paese, San Berardo era nato in questo castello, e l'inizio di un'epoca buia
fatta di spoliazioni e di completo assoggettamento alla rapacità delle famiglie
Orsini prima e Colonna poi.
(Breve di Clemente VII, antipapa, datato
da Avignone, col quale conferma a favore di Rainaldo Orsini, conte di Tagliacozzo,
la provvisione conferita al medesimo da Giovanna regina di Sicilia, che aveva
assegnato allo stesso Orsini in perpetuo 185 onze d'oro sopra le terre e i
castelli del Regno. In conseguenza lo stesso Rainaldo poteva da per sé esigere
detto assegno senza ricorrere all'opera dei giustizieri ed esattori o
commissari del Regno, e poteva eseguire tutto ciò nelle università di
Cappadocia, Bonriparo, Petra de Venusa, Auricola, Rocca de Cerra, Intramontes,
Altum S. Marie, Castrum Vetus, Stanzanum, Talliacotioum, Collis et Luppa, Tufum,
Celle, Petraficcha, Podium Siginulfi, Mons Falconum, Veretula, Civitas Carsoli,
Roccha de Butte, Piretum, Barrum, Pestum Rotarium, Turris Catalli, Castrum de
flumine, Maccla de Mone, Cucumellum, Palearia, Girofalci, Corbarium, Vallis
Meleti, Castillionum et Podium de Valle, Collis Ficatum, Podium S. Iohannis et
Roccha Ranisii. Datum Avinioni, pontificatus nostri anno quarto.)
Per i lettori non... etnocentrici e
curiosi di sapere, quì possono consultare, l'Atto di vendita del 30
Maggio 1326, redatto da Guillelmus
dictus de Benevento de Neapoli pubblico notaro, dei due terzi dei castelli
di Pietrasecca e Poggio
Sinolfi (detto anche Castel
Ginolfo) nella provincia d' Abruzzo, coi vassalli, terre etc. fatta da Nicola da Boiano, Gran Razionale
della regia Curia, a favore
di Pandolfo Rainaldo e Giordano del fu Roberto di Colle Alto, per la somma di 60 oncie da 60
carlini d'argento. La vendita fu compiuta annuente Roberto, re di Sicilia.
L'originale della Pergamena del Re Roberto di Sicilia |
Il nome di Colli è di etimologia Semitica?
Pubblicato da
Maurizio
, 13/07/09 at 17:32, in
Etichette:
Costume,
Grotta del Secchio,
Pieralice,
Storia
Pubblichiamo gli appunti dell'archeologo Giacinto de Vecchi Pieralice redatti per il suo libro "Guida Storico-Artistica delle Regioni attraversate dalla nuova ferrovia", dedicato a Luigi degli Abbati.
Sono una miniera preziosa di notizie su Colli.
Copertina della Guida di Pieralice - da Riofreddo a Colli Pagg. 37 -98
a) Ipotesi che tra le viscere del Monte Bove vi siano dei giacimenti di petrolio;
b) il mostro marino pietrificato rinvenuto durante lo scavo della galleria ferroviaria;
c) le origini del nome di Colli correlate con la sua struttura orografica;
d) l'etimologia semitica del nome;
e) perchè Colletani o Coglietani e non Collesi;
f) il dominio dei Berardi;
g) il vino di Colli come lo...champagne;
h) il monachesimo orientale;
i) la Dogana del 1713;
l) Luigi Panegrossi fa togliere la lapide in marmo sull'arco;
m) La Catena de' Cogli;
n) il Re Manfredi ... devia la Valeria verso Uppa, oggi Valle di Luppa;
o) la Guardia d'Orlando;
p) il Monte Bove o monte della devastazione.
Il Download in PDF e un collegamento ipertestuale sui sotterranei del Guardia d'Orlando, sono quì. Le foto della Grotta del Secchio e Valle Impuni in questo link.
Come si arriva a Colli di Monte Bove
Pubblicato da
Maurizio
, 09/07/09 at 19:08, in
Etichette:
Colli
Questa è un'immagine 3D presa con il satellite Hot Spot, a circa 6500 metri d'altezza e acquisita con il programma Google Earth Pro.
Mostra nitidamente il percorso che si deve impiegare per raggiungere Colli di Monte Bove dall'uscita Oricola-Carsoli dell' Autostrada dei Parchi. La linea in nero è il tracciato della ferrovia Roma-Pescara.
Quando Colli prese il nome ...di Monte Bove
Stanco di vedere costantemente deturpata l'esatta grafia del nome del nostro paese (la redirectory del motore di ricerca Google individua come significativa la sola stringa di comando contenente Colli di Montebove; il portale della Comunità Montana della Marsica Terremarsicane fa anch'esso uso del nome del nostro paese in modo non corretto; la rivista di studi storici Aequa, che dovrebbe sottoporre ad un'analisi scientifica rigorosa o, almeno più severa, l'etimologia dei nomi che utilizza nei propri saggi, commette il medesimo errore; infine, last but not least, il link del sito del comune di Carsoli dedicato alla nostra frazione, rimanda in prima pagina, in caratteri capitali, a Colli di Montebove), pubblico il Regio Decreto del 13 marzo 1887 che: "autorizza la frazione del comune di Carsoli, in Provincia di Aquila, a cambiare la sua attuale denominazione in quella di Colli di Monte Bove", sperando che sia posta fine definitivamente alla vexata quaestio dell'esatto nome del nostro paese.
Copia del Decerto è scaricabile in PDF da questo Link
La Vita di San Berardo
Questo testo si trova alle pp. 127-128, V° Volume, del "Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica" di Gaetano Maroni Romano, primo aiutante di camera di Sua Santità Gregorio XVI ed è stato stampato a Venezia dalla tipografia Emiliana nell'anno MDCCCXL
BERARDI (b) BERARDO, Cardinale. Berardo Berardi nacque nel 1080, e traeva origine dai conti Berardi in Colle, castello nel paese dei Marsi. Pandolfo suo vescovo, scorgendolo adorno di ogni virtù, lo associò alla sua chiesa. Il Berardi si rese celebre per ogni maniera di virtù: sorgeva il primo ai mattutini notturni, serbava esatto silenzio allorchè si dovea tacere, non usciva mai dalla canonica, quando nol permettesse il superiore; non fissava mai lo sguardo a volto di donna, nè con essa parlava, se non in presenza di testimoni oculati. Per le quali cose fu mandato al celebre monistero di Montecassino, ove passò sei anni nello studio delle lettere. Giunta al Pontefice la fama di sue virtù, lo ordinò suddiacono apostolico, e destinollo al governo della provincia di Campagna. Nel quale ufficio egli impieghò tutto se stesso a frenare gli audaci assassini e malviventi, a toglier di mezzo gli scandali, i furti, le rapine, gli omicidi, mostrando molta fermezza contro i piccoli tiranni, che allora regnavano. Il perchè ebbe a soffrire assai, specialmente da Pietro Colonna, il quale dopo averlo fatto condurre a Palestrina e caricare di percosse, lo calò in una cisterna, dalla quale fu estratto da un suo parente, detto Giovanni della Cetrella. Passato dappoi a Roma il Sommo Pontefice Pasquale II, a premio della sua virtù, fregiollo della porpora Cardinalizia, con la diaconia di sant'Angelo, dalle quale in appresso passò all'ordine dei Cardinali preti col titolo di san Grisogono e, nel 1110, dal medesimo Pasquale II, fu eletto vescovo della sua patria. Pervenuto alla sua chiesa, si diede, da forte e zelante, ad estirpare il vizio della simonia, l'abbominevole incontinenza del clero, ed a volere a tutt'uomo la riforma della diocesi. Nutriva egli la più tenera compassione verso i poveri, specialmente vergognosi, ai quali era prodigo di beneficenze, ricovrandoli nella propria casa e servendoli a loro con le proprie mani. Vide la consacrazione solenna della chiesa di s. Agapito di Palestrina, fatta dal sullodato Pontefice, nell'anno decimoquarto del suo Pontificato. Da ultimo dopo essere stato per ben otto volte cacciato dalla propria chiesa, di aver sofferto assai per la giustizia e per la religione, di esser stato a rischio di perder più volte la vita, morì della morte preziosa dei giusti lì 3 novembre del 1130, in età di cinquanta anni, nel giorno, che aveva preveduto per lume superno. Grande era il concetto, che aveasi di sua santità, poichè spirava dal sepolcro di lui soavissimo odore, e a sua intercessione si compiacque Iddio operare parecchi miracoli. Dalla chiesa di s. Savina, in cui riposava, fu trasferito in Piscina in un tempio a lui dedicato.
Documento scaricabile dal Link
Un falso storico su Colli smascherato
Adriano Ruggeri sul numero di Aequa 37, Aprile 2009, apporta un' interessante e rigorosa ricostruzione del falso storico, consolidatosi nel tempo, dell'appartenenza di Colli al feudo di Amatrice nel corso del Medio Evo.
Spunto di questa breve puntualizzazione è stato l'articolo dell' amico Artemio Tacchia relativo alla lapide settecentesca apposta sulla cosiddetta "Porta della Catena" in Colli di Monte Bove, indicante le tariffe da pagare per poter attraversare il non lontano valico di Monte Bove, unico possibile accesso per chiunque avesse voluto entrare nella Marsica, nell'Abruzzo e nel Regno di Napoli
L'Arco della Dogana(Saggio)
"Aequa" la rivista di studi e ricerche sul territorio degli Equi nel suo numero 27, Ottobre 2006, a firma di Artemio Tacchia ha pubblicato un saggio sulla lapide con la tariffa borbonica di Colli di Monte Bove:
Gli anziani ancora lo raccontano, con orgogliosa nostalgia (1). Come a dire che Colli (980 m s.l.m.), in passato, invece di essere un piccolo paese abbandonato come è oggi, era un centro vivo ed importante tanto che chi voleva attraversarlo per addentrarsi nel Regno di Napoli (poi delle Due Sicilie) doveva pagare, secondo quanto stabilito alla Tariffa incisa sopra una lastra marmorea ed appesa nei pressi della Porta Catena, all'ingresso occidentale, probabilmente in Piazza Palazzo, dove c'è la fontana Colonna.(2)
Scrive in proposito il Pieralice: "I gabellieri i quali traevano una catena di ferro attraverso la via, proprio là è quella fonte senz'acqua entro il paese, con un bel frontone di pietra scalpellata a pilastrini e archi, e non si passava... se non si ungeva la serratura con l'unzione della tariffa, che senza dubbio doveva essere affissa colà"(3).....
Confraternita di S. Berardo (1857)
Elenco dei Confratelli di S. Berardo (1884)
Questo è l'elenco dei Confratelli della Confraternita di San Berardo rinnovata ai 27 Aprile 1884, come è testualmente scritto sul frontespizio del prezioso documento.
Scaricabile in formato Pdf al seguente indirizzo:
Colli era Comune nel 1816
Pubblicato da
Maurizio
, at 12:26, in
Etichette:
Storia
Come attesta questo atto ufficiale redatto il 2 Gennaio 1816, Colli era comune autonomo e non faceva parte, come frazione, di quello di Carsoli. Inoltre il suo nome era semplicemente Colli senza l' attuale suffisso di Monte Bove.
Iscriviti a:
Post (Atom)