COLLI

Colli di Monte Bove (AQ.), il Secolo Scorso

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La vera storia del "saccheggio" di Colli

L'ingresso del castello dei Conti dei Marsi di Colli
Le note manoscritte che ci ha lasciato Giuseppe Mantica, si rivelano sempre più importanti per comprendere la storia di Colli. Il 9 Marzo 1821, quando le truppe austro-ungheresi attraversarono il nostro paese per raggiungere Napoli per sedare i moti rivoluzionari,secondo il Coppi Colli fu dato alle fiamme e saccheggiato; per Don Paolo Panegrossi fu solo saccheggiato, ora finalmente abbiamo la fonte, di tradizione orale, di Berardo Anastasi (postino a Colli nel secolo scorso), trascritta dal dr. Mantica, che apprese le notizie contenute nel suo racconto dal nonno Giò Domenico Anastasi.
"Il capo dei Carbonari di Colli era Giò Francesco De Carolis. Fu preso prigioniero dai Borboni e la sua casa fu saccheggiata. La famiglia fuggì a Nespolo. Per riscattarla furono pagati molti ducati, La famiglia rimase in miseria e la famiglia Panegrossi  fece loro trebbiare per lasciaglerli un Barcone di grano (10-15 q.). Ciò fu raccontato a Berarduccio dal nonno che, allora aveva 9 anni circa e che poi sposò la figlia del De Carolis". (Nella realtà ne aveva cinque in quanto Giò Domenico nacque nel 1816).
La composizione della famiglia De Carolis
Come si evince da questa pagina qui a fianco, tratta dello stato delle Anime di Colli, redatto dall'8 Agosto al 31 Dicembre 1821, la famiglia di Giò Francesco De Carolis, risiedeva di nuovo a Colli, ma il decesso della madre e della consorte del capo dei Carbonari di Colli, segnalano, probabilmente, che la terribile esperienza ebbe conseguenze tragiche. Va, inoltre, aggiunto che il 20 Giugno del 1821 Angelarosa mise al mondo un altro erede.
La pubblicistica dell'ottocento ha dato una narrazione donchisciottesca dell'avvenimento di quella giornata, utilizzando espressioni sarcastiche ("furono sparate solo qualche palla di cannone" - Coppi), le note manoscritte del dr. Mantica, precisano con meticolosità: "Nell'anno 1931 furono rinvenute nel torrione della roccaccia (3) e nel cimitero di Colli (21) (+ 1 conficcata in una quercia della Valle della Mola) palle di ferro di cannone del peso di Kg. 21. Un affusto di cannone fu usato, con adattamenti, per carro agricolo fino al 1930 circa."
Nel corso delle ricerche intraprese per scrivere questo post, ho provato una profonda emozione nell'apprendere la correlazione di parentela della mia famiglia con quel capo dei Carbonari che aveva anteposto i propri ideali patriottici al conformismo ambientale, subendone una dura repressione. In quello slancio fatto di principi etici profondi ho rivissuto ardori giovanili anarcoidi/barricadieri.

Albero Genealogico parziale della famiglia Anastasi

Lo scopo della costruzione di questo albero genealogico parziale della famiglia Anastasi è quello di dimostrare il rapporto di parentela con la famiglia di Giò Francesco De Carolis e quindi non ha alcuna pretesa di esaustività. L'arborescenza del grafico è limitata al ramo di discendenza maschile della famiglia. Tra parentesi è segnalata la data di nascita dei singoli componenti, che si è tralasciata per i viventi. Quando possibile, si è fatto ricorso all'onomastica vernacolare.
Il contributo apportato da Giovanni Anastasi per ricostruire questa genealogia, è stato fondamentale.

La scomparsa della più antica chiesa di Colli

1786 . Le proprietà della chiesa S. Giovanni
Nella Bolla del 25 Febbraio 1114 indirizzata a Berardo, il papa Pasquale II, ridisegnava i confini della Diocesi dei Marsi elencando tutti i luoghi di culto sotto la sua giurisdizione. Per il nostro territorio, erano presenti le chiese di S. Maria in Cellis a Carsoli e di S. Massimo a Roccaccerro; a Colli non ne è menzionata nessuana: la ragione può essere, quella più ovvia, ossia l'assenza di qualsiasi edificio sacro, oppure come sospetta l'eminente storico francese della santità medievale, Jacques Dalarun, perchè la Diocesi dei Marsi era frammentata in più sotto Diocesi che facevano capo a Trasacco e Celano, oltre che a S. Sabina.
Nella Bolla di papa Clemente III del 1188 al vescovo dei Marsi Eliano, compare la chiesa di S. Giovanni a Colli. In poco più di settanta anni le chiese della Diocesi hanno avuto un incremento di oltre 500%: cifra astronomica, pur considerando che i vescovi gregoriani ebbero una frenetica attività edificatoria e sottolineando che la sede dei Marsi restò vacante per ventiquattro anni dopo la morte di Berardo. E' più verosimile pensare che, alla fine del XII° secolo, la Diocesi era stata riunificata e così si spiegherebbe perfettamente il numero elevato delle chiese presenti nella seconda Bolla. Non è da escludere, tuttavia, che la costruzione della chiesa di S. Giovanni, collocata all'interno del Castello dei Conti dei Marsi, possa essere stata promossa dallo stesso Berardo, nel corso del suo pastorato (1110 - 1130).
Visita Pastorale del 1690
Nel 1303 la chiesa è presente nel Libro delle Decime della Diocesi dei Marsi. Nella visita pastorale effettuata nel 1690 dal Vescovo Francesco Berardino Corradini, cambia nome: "Ecclesia S. Marie, seu S. Joanny in arce - Chiesa S. Maria, già S. Giovanni all'interno della rocca."  Nel 1 Dicembre del 1800 la parrocchia venne soppressa dall'autorità ecclesiastica alla morte dell'economo curato Francesco Gervasi. Il 18 Agosto 1814 il Re delle due Sicilie emanò il decreto che cancellava la vacante Cura della chiesa S. Giovanni Battista; i rappresentanti del comune di Colli (Antonio Panegrossi, Eletto; Benedetto Caroli, Decurione, Francesco P..., Decurione) promossero una petizione, rivolta al vescovo, nella quale con argomentazioni, oggettivamente risibili, peroravano la causa della presenza di due sacerdoti a Colli. Nell'atto di indirizzo si sottolineava la mancanza di manutenzione della chiesa per circa due secoli, pur avendo rendite cospicue (nel 1786 ascendevano a Lire Tornesi 310), evidentemente complentamete assorbite dalle spese per il sostentamento del clero e che la Sottocura era autonoma dalla chiesa Parrocchiale di S. Nicola, la quale era "...di posteriore erezione, ma di dati ignoti."

Utili consigli restati inascoltati

I "desiderata" del vescovo De Giacomo
Nell'imminenza di una seconda campagna di campionatura degli affreschi presenti nella chiesa di S. Berardo, che sembra si stia concretizzando attraverso una partnership pubblico/privato, ci è apparso interessante pubblicare queste note, vergate da don Paolo Panegrossi, che esplicitano le osservazioni sulla chiesa dedicata al nostro Patrono, del vescovo De Giacomo, in occasione della visita pastorale del 14 e 15 Maggio 1872 a Colli.
La prima informazione preziosa di questo documento è che i temi sviluppati nella narrazione pittorica della chiesa sono numerosi, perché si prescrive di "...rinnovarsi le iscrizioni quasi cancellate che sono intorno a varie figure." Questa eventualità sembra assumere ancora maggiore certezza nel paragrafo successivo quando si consiglia l'allargamento delle due finestre che insistono sulla parete sud per dare maggiore luce alla chiesa ma, si prescrive "...facendo gli sfondi al di fuori"; suggerimento formulato nella chiara intenzione di non arrecare danni eccessivi agli affreschi interni. Tutt'altre esigenze sembrano, invece, privilegiare i curatori postmoderni dell'edificio sacro che lo gravano di pesanti interventi (forature delle pareti) per esporre paramenti sacri, organigrammi della Confraternita, che potrebbero avere una collocazione più consona nella sagrestia posta dietro l'altare principale, riducendo così il rischio di danno antropico agli affreschi sottostanti.
Le mutilazioni della Conversione
Il Monsignore restò inascoltato anche sul divieto di costruire un "...finestrone tondo sulla porta", che di recente è stato provvisto di vetri multicolori, ad effetti cromatici sgradevoli e, completamente avulsi dalle linee architettoniche di costruzione dell'edificio sacro, risalente almeno al XIV secolo: si conferma l'ossimoro: "il miglior modo di distruggere è costruire."
La parete sud della chiesa di S. Berardo

Singolare Agorà a Colli nel Seicento

La pagina iniziale dell'Antica Scrittura
La copia di un'antica scrittura, conservata sino a metà del secolo scorso nell'Archivio Parrocchiale di Colli, ci rapporta una singolare adunanza di alcuni cittadini del nostro paese, il "12 di Gennaro 1657", per decidere se aderire ad una nuova proposta di cessione di beni per ottenere la celebrazione di una messa a suffragio perenne alla morte di Pietro Paolo di Camillo, il giovedì di ogni settimana, nella chiesa di S, Berardo.
La riunione ha luogo "nella solita stanza della Comunità" alla presenza del Camerlengo (in epoca medievale era il tesoriere del Re) Giò Francesco Simeoni e dei Massari,  verte sull'integrazione di beni da concedere in aggiunta a quelli già trasferiti all'Università di Colli con un precedente contratto (il termine Università non va inteso nell'accezione moderna ma nel significato storico del tempo, come sinonimo di Comune), per ottenere il privilegio religioso. Oltre ai sei ducati di Regno e ducati "tre per 3° per ciascun anno durante sua vita", concessi nel negozio precedente, venivano aggiunti ducati centoventi in "beni stabili" (i beni immobiliari attuali) alla morte dell'attore, Nella nuova convenzione vengono devoluti all'Università di Colli anche alcuni terreni, dall'ubicazione dei quali si può presumere, che il di Camillo non fosse un cittadino di Colli ma di Carsoli o di Roccaccerro: uno di essi confina con "l'ospedale", verosimilmente, si tratta dell'ospedale per i poveri che esisteva a Carsoli nell'area che oggi insiste intorno al ponte in pietra sulla Valeria in direzione di Colli ed a fianco del quale nel Settecento una cittadina del nostro paese farà edificare la chiesa di S. Antonio Abate; un altro è situato "nel Prato alle Prata della Roccha di Cerro con l'alberi." L'atto conclusivo è firmato ed approvato, edittalmente, da tutti i cittadini presenti.
Regolamento del 1857
Pur in presenza di una Confraternita di S. Berardo (attestata dalla visita pastorale del vescovo dei Marsi del 1623 a Colli), i beni furono devoluti ad una entità, il Comune, a priori laica e per una finalità oltremondana. Il documento che pubblichiamo ci fa comprendere le diverse fasi storiche che ha attraversato questa gloriosa istituzione della Confraternita di S. Berardo: nel Seicento completamente asservita al potere temporale; nell'Ottocento subordinata all'autorità religiosa; in epoca contemporanea, formalmente ancora soggetta al potere della Chiesa, ma nella realtà utilizzata per riconvertirsi nel mercato politico e per entrare a far parte del notabilato locale egemonico, rissoso nel suo interno, mosso soltanto dal "familismo amorale" e da strategie di affermazione sociale.
 

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