COLLI

Colli di Monte Bove (AQ.), il Secolo Scorso

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Altra fonte sulla presa del castello di Colli (1821)

Copertina del volume del Pagani
di Paolo Emilio Capaldi

Ricercando fonti e testimonianze per la pubblicazione di un testo sui Monti Carseolani, ho ritrovata un'opera molto interessante: Giovanni Pagani, Avezzano e la sua storia, Abbazia di Casamari, 1968. Scorrendo il testo mi sono imbattuto nelle vicende che animarono Colli di Monte Bove, intorno al 20 Febbraio 1921 (1).
Nel 1815, il Congresso di Vienna si propose di restaurare lo status quo ante, agli sconvolgimenti conseguenti la rivoluzione francese del 1789, in tutti gli stati dell'Europa. Il vento delle novità e delle idee libertarie soffiò su tutti gli stati ed il re delle Due Sicilie Ferdinando IV (I), dovette assistere ai nuovi "moti rivoluzionari" (1820-1821), che coinvolsero il suo reame. Il 6 Luglio 1820 il re promise una nuova costituzione per il suo popolo, promulgandola il 13 Luglio.
Sotto la regia di Metternich, l'Austria si ritenne "custode" dell'Italia ed entrò nello scenario peninsulare con il suo esercito per domare le insurrezioni napoletane, con il velato proposito di impossessarsi del regno. Al comando del generale Primont, l'esercito austriaco, forte di cinquantamila uomini, mosse verso i confini del Regno di Napoli.
Il Pagani riporta una lunga citazione dell'attacco condotto dagli asburgici al castello di Colli, facendo riferimento ad alcune pagine dello storico Bernardino Iatosti inserite in Storia di Avezzano: scrive della difesa del castello ad opera del vecchio sergente Zazza di Pereto che, nonostante l'esiguità di uomini e mezzi, coi pochi proiettili rimasti, cercò di cannoneggiare l'esercito austriaco che avanzava.
(1) - Nelle Memorie storiche... don Paolo cita la data del 9 Marzo 1821.
Le pagine del Pagani, in download integrale, cliccando la didascalia della foto.

La chiesa di San Rocco

Colli - La chiesa di San Rocco
Scarse, o addirittura inesistenti, sono le notizie su questa chiesa collocata all'ingresso occidentale di Colli. Tuttavia, una sintetica raccolta delle visite pastorali dei Vescovi dei Marsi al nostro paese (1836-1872), presente presso l'archivio parrocchiale, ci consente di rilevare qualche informazione almeno sul suo stato di conservazione.
Il 12 Ottobre 1847, il Vescovo dei Marsi Michelangelo Sorrentino, scrive nella sua relazione: "...entro tre mesi è necessario restaurare la porta d'ingresso...".  Il medesimo prelato, nella visita del 1858, pone una lapide sull'altare e, infine, il Vescovo Federico De Giacomo nel 1858, rileva che la chiesa è piena di umidità e consiglia di promuovere una questua tra la popolazione per finanziare i lavori di risanamento. Un'annotazione ai margini del decreto, redatta dall'allora parroco di Colli Paolo Panegrossi, ci informa che il Vescovo contribuì alla raccolta con dieci Lire Italiane.
Nessuna notizia storica è giunta sino a noi sulla data di edificazione della chiesa anche se è possibile ipotizzare che, per il santo a cui è dedicata (San Rocco) solitamente invocato per debellare il flagello della peste e in conseguenza del fatto che la pandemia più virulenta del morbo si ebbe, nel regno di Napoli (Colli vi apparteneva), nel 1656 è possibile che la pieve sia stata costruita nella seconda metà del Seicento, come ringraziamento per un pericolo scampato o alleviato.
Colli - Grotta di San Rocco
Altrettanto enigmatica è la presenza di questo antro, connesso alla chiesa di San Rocco, finemente affrescato e, della cui campagna pittorica, è rimasto solo questo piccolo frammento, raffigurato qui accanto. La presenza a Colli di una strada denominata "grotta di San Rocco" (Archivio di Stato dell'Aquila, Liber Baptizatorum, Colli, anno 1809), rende plausibile l'ipotesi dell'esistenza nel luogo di un ipogeo, in seguito normalizzato con intervento antropico.
I toponimi stanno sempre ad indicare il carattere peculiare di una località e spesso ne saturano il significato nell'elemento geografico. Questa lezione del passato è spesso dimenticata dalla toponomastica moderna e un classico esempio di questo orrore, lo abbiamo proprio nel nostro paese, dove la splendida piazzetta, recentemente recuperata nella vicinanza dell'Arco de N'dreone, è stata denominata con il barbarismo Municipalità e Cittadinanza, mentre quel luogo è storicamente individuato come Cimetore.

La Valeria tra la "Fontevecchia" e la "Petrella"

La Valeria tra "S. Lucia" e la "Fontevecchia"
Il passo (1) del volume "Le antichità di Alba Fucense nel territorio degli Equi", dell'architetto Carlo Promis che descrive il percorso della via Valeria nel tratto che ha inizio dalla località della "Mola" ed arriva alla "Petrella", mi ha sempre suscitato numerosi interrogativi perché i due paragrafi che elencano i manufatti presenti lungo il percorso sono contradditori tra loro e la sequenzialità dell'epoca (1836) non corrisponde a quella attuale.
Il Promis sostiene che dopo circa tre miglia da Carsoli (Il Miglio non è un'unità di misura euristica: la sua lunghezza varia a secondo delle epoche e dei paesi. Dopo attenta riflessione, abbiamo optato per l'ipotesi che l'architetto adottasse come strumento di misura il Miglio Italiano, equivalente a circa 1851 m.), si trovava la colonna del milario XLVIII, poi misteriosamente rinvenuta nella località di Sorbo, vicino Tagliacozzo, che identificava l'Imperatore Nerva come il promotore della sistemazione della via Valeria. Pertanto questo cippo doveva trovarsi un pò oltre la località attuale della "Mola". La descrizione continua così: "...Mezzo miglio dopo questo villaggio la Valeria è sostrutta a dritta da un lungo muro poligonio composto principalmente di massi a base trapezia, e pochi passi dopo è a sinistra una fontana la cui vasca è un sarcofago ornato di festoni e bucrani...".
Massi trapezoidali nelle vicinanze della "Fontevecchia"
Osservando la disposizione attuale del territorio, in questa descrizione vi sono almeno due incongruenze: 1) Il muro di cui parla il Promis dovrebbe iniziare dall'abitazione di Anastasi Berardo e in effetti si riscontrano, nel versante occidentale della Valeria, dei massi rettangolari (che potrebbero costituire il muro poligonio di cui parla l'architetto) ma non vi è traccia di massi a base trapezia che invece troviamo poco prima della "Fontevecchia" (vds. figura a destra), con il muro poligonio, perfettamente conservato, anche se ora parzialmente impedito alla vista da una folta vegetazione, che si trova nel terreno di proprietà di Roccasini Marcello, poco prima della "ara della Trebbia". 2) Non vi è traccia, nella località descritta dal Promis, in prossimità di "Fossateglio" di "fontana la cui vasca è un sarcofago ornato di festoni e bucrani", che invece troviamo alla "Fontevecchia" e proprio con vasca a forma di sarcofago (Foto sotto).
La "Fontevecchia"
Tutte queste considerazioni ci inducono a pensare che il famoso architetto abbia commesso un errore nel descrivere la Valeria e abbia collocato dopo l'abitato di Colli ciò che invece aveva notato prima di fare l'ingresso nel nostro paese.
Per onestà intellettuale mi corre l'obbligo di riportare una fonte orale (il compianto Antonino di Giò Battista, più noto in paese con l'antroponimo, Toto, appassionato di storia locale) che asseriva di ricordare l'esistenza di questa fontana in prossimità di "Fossateglio", all'incrocio tra la strada rurale per "Le Pezze" e l'antica Valeria ma, la descriveva come molto piccola, piuttosto spartana e priva di decorazioni, formata da un grande masso di pietra, concavo all'interno.
Massi squadrati alla Fontevecchia



(1) C. Promis, "Le antichità di Alba Fucense negli Equi, misurate e illustrate dall'architetto Carlo Promis", p. 59-60, Roma 1836.


Il cantiere-scuola della "Fontevecchia" (1960)

Alcuni degli allievi muratori del cantiere
Il cantiere-scuola con Colli sullo sfondo
Per porre rimedio alla grave crisi dell'occupazione giovanile negli anni sessanta del secolo scorso, il governo presieduto dall' onorevole Fanfani, immaginò una serie di misure economiche Keynesiane che ebbero un indubbio effetto espansivo e consentirono ad un folto gurppo di giovani del nostro paese di acquisire i primi rudimenti dei mestieri edili e che poi seppero, sapientemente, mettere a frutto andando a prestare la loro manodopera a Roma nel pieno boom della cosiddetta "febbre edilizia" (Nel 1960 la stazione ferroviaria di Colli contava 96 abbonamenti per Roma. Erano persone che partivano la mattina alle ore 04:30 e tornavano a casa alle ore 21:00, in dei vagoni per viaggiatori che avevano poco da invidiare ai carri merci!).
Vista d'insieme del complesso edificato negli anni Sessanta
Un altro progetto, sempre in quegli stessi anni, che ebbe una spinta propulsiva sull'occupazione giovanile di Colli, fu l'opera di rimboschimento del monte Guardia d'Orlando (oggi comunemente chiamata "Pineta") che interessò anche un'area delle "Lamatore" e, purtroppo, il Castello dei Conti dei Marsi.
E' per una sorta di nemesi storica che proprio per far fronte, parzialmente, alla drammatica situazione dell'occupazione a Colli oggi che, l'Amministrazione separata dei Beni Civici, ha acquisito vouchers per mini-jobs dall'Inps (per complessivi 6.000,00 €), assegnati a tre operai del nostro paese, attualmente inoccupati, per far bonificare l'area dalla vagetazione che con la sua esuberanza nascondeva alla vista il manufatto così come la "Fontevecchia", di epoca romana e, le vestigia dell'antica Valeria che proprio in questa area conserva dei "massi ciclopici" di straordinaria bellezza; ma, questo, sarà l'argomento di un prossimo Post.
Ringrazio Antonio Barnabei che mi ha inviato l'immagine degli allievi del cantiere-scuola.

Articolo Osservatore Romano su Berardo (1961)

Osservatore Romano
Un articolo dell' Osservatore Romano del 1961 traccia con puntualità e rigore la biografia di Berardo (ad esempio è esattamente indicato l'anno di nascita di Berardo -1080- citando documenti inoppugnabili, mentre c' è chi ancora oggi insiste pedissequamente nel sostenerere il 1079: lo scrivono persino nei cartelli d'indicazione stradale!).
L'apertura del testo evoca la presenza di Berardo a fianco del Papa Pasquale II in occasione dell'inaugurazione del Duomo di Palestrina, dedicato a S. Agapito; quindi si mette in risalto l'azione di riformatore gregoriana di Berardo (a mia conoscenza è la prima volta che in un testo precedente a: Les structures du Latium méridional... di Pierre Toubert -1973- sia pur labilmente, si fa eco a questa "nuova arte di governo della Chiesa" che inaugurò Berardo). E' anche precisato che Berardo nacque a "Colli, nella Marsica". Segue la descrizione del cursus che il vescovo dei Marsi effettuò con Pasquale II.
Il testo integrale è scaricabile facendo click sulla didascalia della figura qui a fianco. Ringrazio Antonio Proietti che mi ha fatto pervenire il prezioso documento.

Gli affreschi del prodigio di Berardo (1625)

Fig. 1 - Imperatore con corona
 La campagna per riportare alla luce gli affreschi della chiesa di San Berardo sta dando eccezionali risultati.
Le figure (1-5) sono la testimonianza dei primi motivi di cui si compone la rappresentazione pittorica del miracolo di Berardo nella conversione del Bravo dei Colonna Fancesco Di Ambrosio (che in seguito al prodigio mutò il suo cognome in Barnabei) e si possono ammirare un personaggio con una corona (sicuramente un esponente del potere temporale, probabilmente facente parte della famiglia Colonna, Fig. 1), contrapposto ad un vescovo (certamente Berardo, Fig. 2). Nella narrazione sinora rivelata non appare ancora l'uomo che si pente ma, altri dettagli, non descritti da don Paolo Panegrossi nelle sue Memorie, stanno emergendo, come questa gradevole figura femminile (a metà strada tra un'eterea creatura divina e una donna del tempo, Fig. 3) che rendono ancora più interessante la composizione.
Fig. 2 - Berardo, Vescovo dei Marsi
Gran parte della scritta di committenza è già visibile: Il testo è esattamente come riportato da don Paolo nelle Memorie, eccetto qualche piccola variante. Ora si legge: "FARE P. SVA. DIVOTIONE. A.D. 1625" (Fig. 4). Penegrossi invece scriveva: "FABRIZIO DI AMBROSIO F.F. PER VOTO A.D. 1626". Considerando che l'epigrafe non è ancora completamente svelata; che don Paolo, quando scrisse la sua opera (1867), gli affreschi erano già stati ricoperti e quindi non ebbe a disposizione una fonte diretta ma solo orale, il piccolo errore sulla data (un anno) appare sostanzialmente irrilevante. Il commitente, per ora, è identificato come "AMBROSIVS" (Fig. 5).
Fig.3 - Figura di donna
Fig. 4 - Scritta di committenza
Un'ultima annotazione: il volto di Berardo risulta straordinariamente somigliante a quello raffigurato nello stendardo, rinvenuto anni fa da Antonio Barnabei in una ricognizione effettuata nella sagrestia della chiesa san Nicola di Bari e di cui sinora non si era riusciti né a formulare un range di collocazione temporale, né un'attribuzione artistica. Lanciamo come ipotesi di scuola: la famiglia Di Ambrosio, sicuramente facoltosa in quanto rappresentante dei Colonna a Colli, potrebbe aver commissionato entrambi i lavori al medesimo autore, viste le affinità delle due opere?
Fig. 5 - Scritta di committenza, particolare
Altre scoperte interessanti si stanno facendo con il progredire dei lavori di campionatura delle due esperte operatrici sulle pareti dell'edificio sacro. Nella nicchia dove c'era la pala di santa Lucia, è apparsa questa scritta: " Pittore Corradini Francesco e aiutanti Luigino Gervasi Salvadei Andrea li pittarono l'anno 1933 19-5". E' verosimile che al disotto vi siano altri affreschi (Fig. 6).
Fig. 6 - Nicchia s. Lucia
Fig. 7 - Stele funeraria
Infine pubblichiamo questa stele funeraria (Fig. 7) presente nella chiesa di san Berardo. L'asprezza del testo, l'ortodossia ed il velo di livore che segnala il quinto capoverso, fanno pensare alle ultime volontà di uno dei tanti collesi le cui spoglie riposano sotto il pavimento della chiesa di san Berardo (ha svolto la funzione di cimitero succedaneo almeno sino al 1905). Il raro privilegio di una frase dedicatoria, non può che attribuirsi al collese più illustre che è lì sepolto, vale a dire don Paolo Panegrossi, (la morte, nel 1897 e, il luogo di sepoltura nella chiesa di san Berardo, sono attestati da un documento dell'Archivio Vescovile di Avezzano), malgrado la sua famiglia possedesse la propria sede funeraria nella cappella palatina della Madonna della Speranza (in uno spazio ricavato al di sotto della navata si trovano, in uno stato perfettamente conservato, i resti di due uomini, una donna e una bambina, verosimilmente esponenti della famiglia Panegrossi. All'interno di questo antro la temperatura è di 4 gradi, costanti in tutte le stagioni dell'anno).
 Poiché don Paolo era un rigoroso gesuita è possibile che abbia voluto marcare il dissenso con i costumi ...leggeri degli altri esponenti dell'illustre famiglia di Colli che, negli ultimi anni dell'Ottocento stavano dilapitando le enormi ricchezze accumulate nel corso dei due secoli precedenti, con donnine facili provenienti da Roma e che intrattenevano ad Arsoli, commissionando appunto, prima di morire, questa stele così singolare.
 

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